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Immagine del redattorefedecaglioni

Una scribacchina bagnata fradicia #21 : Un nuovo viaggio

La casa in cima alla scogliera riposava avvolta nella debole brezza che spirava dal mare quella mattina. Da anni nessuno ne disturbava la quiete delle stanze più interne; i vecchi custodi avevano ridotto il numero di giorni in cui si mettevano a disposizione per soddisfare la curiosità di avidi vacanzieri alla ricerca di un intrattenimento diverso dal solito e i turisti erano comunque tenuti lontani dalle stanze private, anche se cercavano sempre di ottenere il permesso di visitarle. In fondo, non capitava tutti i giorni di poter camminare tra le stesse pareti che avevano assistito a un duplice omicidio rimasto senza colpevole e chi capitava dalle parti di Pearlhell nei mesi esistivi restava affascinato dalla crudezza di quella storia, tanto da desiderare di vedere con i propri occhi quella villa abbarbicata sull’angolo più estremo del golfo.  Anne osservava i cancelli della villa in quella mattinata limpida e non si rese minimamente conto dello scorrere del tempo. Era arrivata in città la sera prima e quella notte non aveva dormito al pensiero che il mattino dopo avrebbe rivisto Villa Froster nello splendore di un giorno di sole. Quel luogo aveva un significato particolare per lei, perché lì aveva miracolosamente portato alla luce la verità sulle origini della sua famiglia e il loro discendere dal Diavolo di Pearlhell. George Froster, l’ultimo signore della città, brutalmente assassinato con il figlio primogenito nella notte del 25 Novembre 1841, era padre anche di Samuel Froster, figlio illegittimo avuto da una lontana cugina e adottato dal fratello maggiore. Da quest’ultimo aveva avuto origine la famiglia di Anne e solo grazie a lui i Froster ancora apparivano sul registro dei cittadini della città. Erano passati cinque anni da quando aveva ritrovato i documenti segreti nelle scrivania di Froster e messo in chiaro, una volta per tutte, che non era il mostro tramandato per secoli dalle voci sul suo conto. Si era accanita con tutta se stessa, senza saperne né immaginarne il motivo; lei che aveva sempre giustificato e applaudito per la fine orribile di quell’uomo, un giorno in cui un temporale estivo l’aveva fatta rifugiare nella villa si era convinta che forse Froster non era malvagio come tutti credevano. Un caso fortunato l’aveva aiutata a trovare i fogli – lei non aveva nemmeno idea di come fosse riuscita a scoprire la serratura segreta nel cassetto –, eppure non c’era una giustificazione per quel suo repentino cambio d’opinione a proposito del vecchio Froster. Era semplicemente accaduto. Non aveva più ripensato al ladro che si era introdotto nella villa e che aveva cercato di convincerla che fosse arrivato dal futuro. Prima di scappare, per dimostrare che non mentiva, le aveva dato appuntamento per lo stesso giorno in cui aveva ritrovato il testamento e le lettere ma di lui non c’era traccia, come si era aspettata. Ormai non ricordava nemmeno più come avesse detto di chiamarsi. Anne restò a fissare il cancello e la casa a lungo, non trovando mai il coraggio di girare la chiave nella serratura e oltrepassarlo. Era uscita presto, quando la sua famiglia ancora dormiva profondamente. Non che fosse abituata ad alzarsi tardi, ma nel suo primo giorno a Pearlhell aveva pensato di godersi lo spettacolo della città che iniziava un nuovo giorno dall’alto della scogliera. Si era dimenticata l’effetto che faceva Villa Froster salendo la collina, con il suo profilo imponente e contemporaneamente delicato illuminato dal tenue chiarore del mattino. In un solo secondo si era dimenticata di tutto e aveva raggiunto la casa dei nonni paterni per recuperare le chiavi che usavano per aprire e chiudere l’antica dimora in quanto custodi. Li aveva sorpresi nel fare colazione, anche loro mattinieri in quella bella giornata di metà Luglio, e fu accolta da un profumo familiare di torta calda e caffè appena fatto. Bert e Ilma salutarono la nipote con un sorriso, cercarono anche di convincerla a fermarsi ma lei rifiutò. Voleva godersi la vista del golfo dal giardino della villa, assaporandone la tranquillità prima che arrivassero i turisti. Disse loro che avrebbe preparato le stanze per le visite guidate in programma per quel giorno perché voleva rendersi utile, anche se quelle erano le sue vacanze. La realtà era più semplice però era felice di poter aiutare i nonni. Sin da quando aveva avvisato i genitori che sarebbe tornata a casa dopo la fine dei corsi un pensiero fisso l’aveva riportata all’estate dei suoi sedici anni, trascorsa in punizione. Era stata l’estate del ritrovamento delle carte di Froster, quella in cui aveva creduto di poter mettere a tacere le voci sulla sua famiglia ma che non aveva avuto alcun effetto. I Froster erano rimasti comunque i discendenti di un furioso mostro senza cuore. Non che le fosse mai importato delle sciocche dicerie, eppure sentiva che non corrispondevano a verità e credeva che la soluzione a quel suo dubbio fosse nascosta nella villa in cima alla scogliera. Era una sensazione che non sapeva spiegare, era così e basta. Era rimasta a fissare la casa pensando a tutto quello e contemporaneamente a nulla, in una silenziosa contemplazione di un luogo che un tempo odiava e che ora significava molto per lei.  Quando si decise ad aprire il cancello e a avviarsi verso il portone, l’orologio sul suo polso segnava le nove passate. Era rimasta ferma là fuori per quasi due ore senza accorgersene. Lasciò la bici dietro una siepe, nascosta alla vista che si poteva godere dalla strada, e entrò nella casa un tempo appartenuta al suo antenato. La frescura delle pareti di marmo bianco le solletico la pelle scoperta sulle gambe e sulle braccia e le lasciò una sensazione di sollievo, come se avesse finalmente potuto inspirare dopo aver trattenuto a lungo il respiro. Il fruscio delle sue scarpe era il solo suono che si udiva mentre avanzava e raggiungeva l’immenso atrio, con il tavolino e il mezzobusto commemorativo di George Froster, l’imponente scalinata con le sue doppie rampe e il disegno di marmo scuro sul pavimento che interrompeva la straordinaria perfezione bianca dell’ambiente. Non aveva dimenticato un solo dettaglio di quel luogo, né le innumerevoli stanze che aveva scoperto negli anni, ma il suo pensiero correva verso una porta ben precisa, che racchiudeva quello che amava definire il suo salottino preferito. Sali le scale senza badare a dove metteva i piedi, così esperta di ogni possibile sbeccatura nel marmo da non avere più bisogno di guardare; le dita scivolavano morbide sul corrimano e ne disegnavano il contorno con precisione, l’unico dettaglio in grado di strappare l’attenzione di Anne dal pensiero del luogo verso il quale era diretta, il solo capace di tenerla ancorata alla realtà. Se avesse dovuto spiegare perché fosse tanto affezionata a quella particolare stanza non avrebbe saputo dare una risposta. Come il suo dubbio su Froster, sentiva qualcosa che la spingeva a credere che non potesse essere altrimenti. Girò la maniglia e la porta dello studio di rappresentanza si aprì senza cigolii. Anne non badò allo scarno arredamento, lo conosceva come se stessa, e si diresse verso la seconda porta sulla destra. Lì si nascondeva la sua stanza preferita. Non era che un salottino privato, con un enorme camino antico, un divano sistemato davanti alla bocca annerita dalla fuliggine e la libreria più grande che Anne avesse mai visto. Occupava tutta la parete dirimpetto all’ingresso, quella su cui si appoggiava il camino e arrivava fino al soffitto, dove ogni ripiano traboccava di volumi incredibilmente diversi l’uno dall’altro. Una sola finestra bastava a illuminare l’intero ambiente e una luce tenue sfiorò il vecchio mobilio quando Anne scostò le pesanti tende e aprì il vetro per far entrare la brezza che arrivava dal mare. Da lì se ne vedeva solo uno scorcio, ma a lei bastava. A piccoli passi si diresse verso la libreria e ne sfiorò i ripiani con le dita, indugiò su alcune sopraccoperte di pelle, così vecchie da essere sbiadite e illeggibili. Lasciò che lo sguardo vagasse nel vuoto finché, nell’angolo che il mobile formava tra le due pareti, un oggetto brillò grazie a un accidentale raggio di luce e attirò la sua attenzione. A parte Anne, nessuno entrava in quella stanza e che lei sapesse non era stata più aperta dall’inverno precedente. Ne era certa perché era stata proprio lei a chiuderla a chiave quella volta, dopo averci passato un intero pomeriggio con il suo fratellino. Per questo quando il sole colpì la cassa d’oro di un orologio da taschino Anne si chiese come fosse potuto arrivare fin lì un oggetto tanto bello quanto singolare. Lo prese in mano, sfiorandone la superficie  decorata con il pollice. Intrecciate con il ghirigoro si leggevano le lettere di una singola parola. «Chronos» lesse Anne ad alta voce facendo scattare la serratura. La cassa si aprì in tre scomparti. Il primo mostrava il quadrante dell’orologio, con più lancette di quante ne servissero per segnare l’ora. Lo confrontò con quello che portava al polso ma non riuscì a capirne il funzionamento. Il secondo assomigliava al primo, ma invece di segnare il passaggio del tempo rappresentava una bussola, dove l’ago della direzione però era fermo. Passandoci l’indice la punta si spostò appena verso Nord-Est. Tutto in quell’orologio da taschino era assurdo, ma ciò che lasciò Anne senza parole fu l’ultimo scomparto, dove una piccola placca rettangolare era incastonata nella struttura. Sopra, una scritta invitava a appoggiavi il dito, mentre sotto sembrava ci fosse la griglia di un altoparlante. Anne si rigirò la cassa tra le mani tornando verso il divano. Quel nome sembrava dirle qualcosa ma non aveva idea di cosa si trattasse. Forse lo aveva sentito in una vecchia pubblicità, per quello aveva un certo non so che di familiare. Seduta sul divano continuò a guardare i tre scomparti, soffermandosi sempre di più sul terzo e sull’invito che le rivolgeva. Era curiosa di sapere cosa sarebbe successo se avesse premuto l’indice sulla placca e lei di solito si lasciava tentare facilmente. Eppure quel termine, Chronos, non le dava una piacevole sensazione, come se sapesse già che non avrebbe portato a nulla di buono, né in quel momento, né mai. Si chiese perché avesse un così brutto presentimento solo dopo aver letto una parola che per lei non significava apparentemente nulla. Però se Anne pensava ai suoi difetti il maggiore che si riconosceva era senza alcun dubbio la curiosità. Un giorno sarebbe finita in grossi guai a causa del suo continuo impicciarsi in cose che non la riguardavano, lo sapeva e ogni giorno ringraziava la sua buona stella che non fosse accaduto ancora nulla di irreparabile. Tutte le facevano notare che troppa curiosità l’avrebbe messa nei guai e mentre premeva l’indice sulla placca rettangolare sentì dentro di sé la voce di Jane, sua madre, che le ricordava di fare attenzione, perché chi giocava con il fuoco prima o poi si sarebbe scottato. «Che mi aspettavo?» si lamentò tra sé quando non accadde assolutamente nulla e si vide costretta a staccare il dito. Si sentiva una sciocca per aver anche solo creduto che, forse, quell’orologio da taschino assai particolare avrebbe riconosciuto la sua impronta digitale. Anne stava per alzarsi e riportare l’orologio dove lo aveva trovato, nell’angolo della libreria dove un unico raggio di sole le aveva indicato quell’oggetto tanto strano quanto inutile, e aveva già fatto scattare la molla per richiuderlo quando un ticchettio sospetto la fece fermare. Agghiacciata, abbassò lo sguardo sulla sua mano e osservò la rotella superiore dell’orologio ruotare completamente da sola. «Impronta confermata» gracchiò una voce arrugginita dall’interno della cassa. «Anne Froster, Viaggiatrice di Classe A1. Giorno: 14 Luglio 2019. Destinazione viaggio precaricato: Casa Smith, 10 Ottobre 2155. Inizio sequenza temporale» Chiedersi cosa stesse accadendo non le fu possibile. Avvertì una mano stretta attorno alla sua colonna vertebrale, una presa ferrea che le fece temere di essere presto spezzata in due, poi uno strattone la sbalzò all’indietro. Tutto quello che poté fare fu chiudere gli occhi e sforzarsi di continuare a respirare.


Coraggio-tattoo

Buongiorno e buon Sabato a tutti!

Come potete non è un racconto autoconclusivo, ma è l’inizio (come dice il titolo) di un nuovo viaggio. Chi mi segue da un po’ avrà sicuramente riconosciuto Anne, protagonista di Time Murder – L’omicidio di Casa Froster, e spero che questa nuova avventura possa riportarci tutti nel suo universo. Vedremo cosa succederà 😊 Io ho in mente qualche idea a tal proposito, ma vorrei sapere anche cosa ne pensate voi. Vi piacerebbe se tornasse? Cosa vi aspettate che accada da adesso in avanti? Sono curiosa di sentire cosa vi aspettate da questa possibile continuazione!

Un bacio

firma scribacchina
 

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