Buongiorno 😊
Dopo due mesi di latitanza torno a partecipare alla rubrica di scrittura creativa, la Storytelling Chronicles, ideata da Lara de La Nicchia Letteraria e con grafica di Tania di My Crea Bookish Kingdom! Finalmente, non vedevo l’ora di tornare a scrivere per la rubrica.
Per la tematica di questo mese si doveva scegliere tra diverse poesie da qui lasciarsi ispirare. Tra tutte, ce n’erano davvero di belle, io ho scelto questa qui:
Frammento (Saffo)
Simile a un dio mi sembra quell’uomo che siede davanti a te, e da vicino ti ascolta mentre tu parli con dolcezza e con incanto sorridi. E questo fa sobbalzare il mio cuore nel petto. Se appena ti vedo, subito non posso più parlare: la lingua si spezza: un fuoco leggero sotto la pelle mi corre: nulla vedo con gli occhi e le orecchie mi rombano: un sudore freddo mi pervade: un tremore tutta mi scuote: sono più verde dell’erba; e poco lontana mi sento dall’essere morta. Ma tutto si può sopportare…
Ed ecco il racconto!
Il parziale
«Io un po’ Saffo la capisco, sai…» Alzo gli occhi dallo schermo del pc e studio il ragazzo che mi sta davanti come se fosse un alieno appena sbarcato da Marte. No, Alfa Centauri. Tanto nulla potrebbe essere più assurdo di Stefano che, dopo aver finito di leggere il mio parziale di letteratura antica, si professa consapevole dei tumulti emotivi di una donna per un’altra donna, quest’ultima invaghita di un uomo. «Tu?» gli chiedo, il sopracciglio alzato a mo’ di inquisizione. «Ste, sii serio. Se la mia analisi ti fa cag… schifo» mi correggo in corner, salvando la sala studio dalla mia finezza ben poco femminile, «dillo e basta.» Lui fa spallucce, gli occhi di quel colore simile al mare in tempesta che si abbassano di nuovo sulla brutta copia del mio esame. Lo osservo un secondo ancora, le ciocche corvine che gli cascano sulla fronte ampia e ammorbidiscono i tratti spigolosi del suo viso. Lo conosco dalla prima superiore, rivali e poi amici in una competizione continua su chi di noi sia il migliore. In pratica siamo come Holly e Benji, se uno dei due fosse stato una ragazza. Torno a guardare gli appunti di estetica nella speranza che assumano un senso logico. Non ho seguito molto, stamattina, troppo occupata a ricaricare il sito dell’università e scovare i benedetti risultati dell’esame di dieci giorni fa. E scoprire che mi ha fruttato un secchissimo ventuno. Il prossimo parziale dove andare da Dio, altrimenti lo rifiuto. «Dico davvero, Gwen» mormora di nuovo. E quando usa il mio soprannome so che non mollerà. Chiudo il pc, tanto per estetica non c’è speranza. Il mio amico tiene le mani aperte sul tavolo, le dita che tamburellano a entrambi i lati del foglio della discordia, e non mi guarda mentre mima con le labbra le parole che ho scritto. Fa sempre così quando legge, e io lo seguo, sentendo quasi la sua voce mentre va avanti. Come ogni altra volta. Perché se Stefano chiede la mia attenzione, io non riesco a negargliela. «Come qui. Hai scritto: “La poetessa descrive la delusione di vedere la persona che ama rivolgersi a un altro con stati di turbamento psicosomatico che, per esperienza personale, si rivelano esagerati, del tutto fuorvianti per la complessità emotiva dell’episodio e”» fa una pausa, alzando appena la testa per vedere se lo sto guardando. Annuisce soddisfatto quando incrocia il mio sguardo e poi si ributta sul foglio. «“E ininfluenti dal punto di vista della condivisione della summenzionata delusione da parte del lettore”. Praticamente, hai detto che Saffo non ti fa una pippa.» Già. Bel dono della sintesi, il suo. Una ragazza al tavolo a fianco ridacchia e con la coda dell’occhio la vedo guardare Stefano, poi me e infine scuotere la testa. Già, lui ha ragione, io torto, e tu potresti ficcare il naso in qualunque libro ti ritrovi davanti. Con l’indice mi risistemo gli occhiali sul naso, sperando che il gesto mi aiuti ad allentare il groppo in gola. Non mi è piaciuto quel parziale, per diverse ragioni, e adesso ci si mette anche lui a smontarmelo. Lui che nemmeno deve darlo quest’esame. «Ed è strano» prosegue imperterrito, girando il foglio per andare avanti nella lettura di quello scempio. «Perché se ci arrivo io, a capirla, per te dovrebbe essere una passeggiata. Dovresti andarci a braccetto, con Saffo. Invece…» «Perché?» la mia voce è affilata, più di un rasoio, e Stefano se ne accorge. La sua testa scatta all’insù, le dita smettono di agitarsi e quegli occhi, quelle distese che non sono né grigie né azzurre, ma una combinazione unica dei due colori, cercano i miei per capire cosa non vada. «Gwen» il mio nome suona come una domanda, vuole sapere cosa mi prenda e quando non rispondo, passa all’artiglieria pesante. «Ginevra?» «Perché dovrei andare a braccetto con Saffo?» Stefano mi osserva, serio, e io raddrizzo la schiena, a testa alta davanti al suo scrutarmi. Non so cosa cerchi, ma non voglio che trovi quello che nascondo sotto il groviglio che mi attorciglia lo stomaco, né ciò che c’è dietro ai miei grandi occhiali dalla montatura spessa e nera, la mia maschera da così tanti anni che fatico a ricordare come facessi senza. Stefano sospira, poi chiude il foglio e me lo passa. «Perché ti è sempre piaciuta la poesia, Holls. Tutto qui.» Annuisco, stringendo l’altra estremità del foglio per riprenderlo. Ma lui non lo lascia andare. «Non vuoi sapere perché la capisco?» La curiosità mi brucia, striscia su ogni anfratto della mia mente e del corpo, lo stesso calore descritto da Saffo, la stessa incapacità di parlare, agire, vedere e ragionare che lei ha impresso sulla carta e che ho provato anche io dieci giorni fa. Mi pizzica nei polpastrelli, così sensibili sulla carta ruvida e per il calore che si irradia da quelle dita così vicine, eppure irraggiungibili. Sì, certo che lo voglio sapere. Noi siamo Holls e Benji, inseparabili migliori amici che condividono tutto. E no, perché adesso sono anche Ginevra, una scema con il quoziente di femminilità più basso dell’esistenza, che ha scoperto di essere innamorata del suo migliore amico durante un dannato parziale di letteratura classica, dopo averlo visto ridere e scherzare con l’assistente del corso comune di estetica, tutta in tiro e truccata alla perfezione. Tiro un profondo respiro e scuoto la testa, lasciando andare il foglio e tutto il tepore che Stefano emana. Rimetto in riga i miei pensieri e mi impongo di restare distaccata, di non alzare lo sguardo verso il suo perché potrei finire bruciata. Perché sempre, non importava quanto agguerriti fossimo nelle nostre sfide, gli occhi del mio Benji mi hanno fissata con un calore impossibile definire. Un desiderio che, mai una volta, ha osato esprimere davvero. Io e lui siamo così. Amici da anni, complici in tutto e lo stesso distanti come due astri nel vuoto dell’universo. Lui è un alieno che viene da Alfa Centauri, io dalla Cintura di Orione, se vuole mettersi davvero a parlare di sentimenti adesso. Dopo aver riso e scherzato con quella ragazza meravigliosa senza avere idea che io lo abbia visto. Senza avere idea che capisco Saffo alla perfezione. Stefano ritrae la mano, il foglio che resta dalla sua parte del tavolo, arreso come lui nell’affrontare un discorso che vorrei sentire e dal quale vorrei fuggire a gambe levate. Fa sempre così, tira fuori l’argomento e poi lo scaccia, come se temesse di bruciarsi avvicinandosi troppo. Come se io fossi la fiamma, mentre lui la falena che rischia la vita. Davvero non si accorge che adesso è lui il fuoco e io la povera farfalla notturna che brama, e teme, la sua luce? Mi alzo, senza fare rumore o scatti. C’è questa bestia che mi artiglia il petto e se non vado adesso rischia di esplodere in aula studio. E non ho idea del perché voglia farlo. O perché sia così arrabbiata. No, questo lo so, ma non voglio guardarlo in faccia. Non voglio ammettere cos’è che adesso mi fa stare male. «Holls?» Alzo una mano, consapevole che se rispondessi a voce capirebbe. Capirebbe che so quanto possa essere spigliato, socievole e malizioso con le altre ma mai con me. Mai con Holls, la sua migliore amica. Lo fermo con un cenno, perché se parlo adesso crollo. Se lo guardo crollo. Quindi è meglio che vada via, arrabbiata con lui per qualcosa che non sa di aver fatto. Ferita per un gesto che sa bene avermi fatto male. Raccolgo le mie cose ed esco. Stefano non mi segue. Di certo si starà chiedendo cosa mi è preso, ma mentre attraverso i corridoi mezzi vuoti, capisco che non voglio che lo faccia, non voglio che mi segua e mi chieda cosa non va. Perché se lo facesse dovrei ammettere che sto mettendo in pericolo noi due, Benji e Holls. Se lo lascio parlare, se rompo il vetro che ci siamo costruiti attorno, potrei scoprire che non è più il mio Benji e non ci saranno più pomeriggi passati a studiare insieme, a giocare a Dungeons & Dragons o guardare quei film di fantascienza demenziale che tanto adoriamo. Durante quel parziale non potevo dare ragione a Saffo. Non ci sarei riuscita. Né potrei farlo adesso. Perché sento che lo sto perdendo, sto perdendo noi, e mi fa male. Mentre lascio la facoltà mi sfrego il polso, lì dove lo scorso marzo mi sono fatta tatuare Benji&Holls. Siamo andati insieme, anche Stefano dovrebbe averne uno, ma quando siamo usciti dal tatuatore, si è rifiutato di dirmi dove fosse il suo. Non me l’ha mai detto e, alla fine, ho capito che sono stata la sola a macchiarmi la pelle. Avrei preferito non saperlo mai. Vorrei poterlo dimenticare. Ma nulla di tutto questo è davvero possibile. Dieci giorni fa non ho potuto dare ragione a Saffo. Perché sto perdendo il mio migliore amico, il mio Stefano, e fa male. No, ho dovuto dire che Saffo ha torto. Perché perdere l’amore della propria vita non è qualcosa che si possa sopportare.
Fine! Spero che questa storia vi sia piaciuta 😊 in ogni caso vi aspetto nei commenti!
Federica 💋
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