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Immagine del redattorefedecaglioni

Writober [Pt. 1]

Buongiorno a tutti 😊

Questa settimana sarà un po’ diversa dalle altre, perché sono un po’ presa da un progetto che, se mi seguite sul mio profilo Instagram da autrice, già conoscete: la pubblicazione del mio prossimo libro 😊 Domani ve ne parlo meglio, ma poiché mi sta assorbendo tantissimo per oggi e questi prossimi ho pensato di proporvi i racconti brevissimi scritti a ottobre. Ognuno segue un tema, un prompt, e ce ne sono 10 diversi.

Oggi vi propongo i primi quattro!

Falò

«No, perché a te piace, invece?» Madonna, se si lamenta! Manco l’avessi portata in Uganda, o in mezzo al deserto del Sahara. Siamo uscite a fare trekking e ho dimenticato le chiavi del bungalow… nel bungalow. Ergo, siamo chiuse fuori, ma siamo comunque a Tenerife, in un resort a 5 stelle con giardino privato, sdraio, cucina esterna e un braciere dove arde un bel falò di quelli da esperti di sopravvivenza. Abbiamo persino cenato, non mi sembra ci sia nulla di tragico. Zic. Ah, già… le zanzare. «No, non mi piace, ma cosa posso farci?» Sbuffa invece di rispondere. «Hanno detto che ci vogliono due ore per smagnetizzare la chiave vecchia e resettarla. Ne è passata una e mezza. Arriveranno.» Zic. Ma è con mia cugina che sto parlando, il cui sport preferito è lamentarsi e non sforzarsi di proporre mai soluzioni utili. Quindi non mi sorprende che mi faccia il verso. «Arriveranno» scimmiotta col broncio. «Che palle. Sempre che non… Oh, Dio ti ringrazio.»

Scatta in piedi tipo molla e sorride al tizio che arriva verso di noi con un tesserino bianco. Alleluia, almeno finirà di tormentarmi e guardarmi male. Zic. E io smetterò di essere punta. Recuperiamo la nuova chiave e, anche se non capisco un’acca di inglese, intuisco che ci considera due stordite dall’occhiata che ci riserva. Ok, ok, ho capito, la prossima volta faccio attenzione. Zic. Argh, accidenti alle zanzare! Mia cugina sembra tutta uno zucchero adesso, mm-mm, come se fino a un secondo fa non mi stesse tartassando per un piccolo sbaglio. «Tu adesso la chiave non la tocchi» intima mia cugina e, madonna, che pesantezza, ma almeno adesso siamo al chiuso e senza più zanzare. «Così siamo sicure di non dimenticarla.» Imito un saluto militare, con un “Jawohl” mormorato, e lei si inalbera. Però mi silura per andare in bagno e finisco spaparanzata sul letto, pronta per dormire. «Che fai?» chiede quando riemerge, tutta in tiro. «Guarda che usciamo.» Sbuffo, ma lei mi tira in piedi e perché non posso toccare la chiave esco diretta sul patio, tanto ci pensa lei. Il mio bel falò ancora scoppietta. Mia cugina mi raggiunge, controlla tutto e chiude la porta. «La chiave?» domando giusto per controllare. Mi guarda, la guardo, abbassa gli occhi sulla maniglia e sbianca. «Ehm…» Oh, madonna. Zic.

Sentiero

Camminava da sola lungo il sentiero, le ombre create dalle fronde che la isolavano dal mondo esterno. La isolavano da tutto, in verità, lei che non si era mai trovata bene con nessuno e con niente di ciò che facevano i suoi coetanei. Nel suo villaggio era sempre stata questione di crescere con la prospettiva di eccellere in qualità per lei fin troppo sopravvalutate. Forza fisica, brutalità e coraggio erano i valori che venivano tramandati da secoli, da genitori in figli, senza curarsi se fossero donne e uomini, se avessero altri talenti oltre a quelli che permettevano loro di sopraffare il più alto numero di nemici nel minor tempo possibile. Solo quello importava e che fosse abile a disegnare era uno sfortunato incidente di percorso.

Che volesse fare altro all’infuori dell’andare alla ricerca di villaggi sempre più ricchi da depredare una sciocca fantasticheria da estirpare a suon di massacri e gole tagliate. Perché il suo sangue apparteneva ai cacciatori e le sue mani avrebbero mietuto vittime, così come le avevano mietute quelle dei suoi antenati. Per quanto ci provasse non poteva fuggire da un mondo sanguinario come il suo, anche se in esso si sentiva estranea, un pesce sciocco che nuotava contro corrente solo per scontrarsi con i suoi simili e sentirsi dire che era sprecata. Già, perché oltre a non trovare un senso alle abilità che tanto erano osannate, erano anche quelle in cui eccelleva, superiore a chiunque altro. Il sentiero si inerpicava tra gli alberi, grigio e tortuoso in mezzo alla vegetazione ricca e capace di risvegliare il suo occhio da artista, non solo quello da stratega. Attorno a sé vedeva luoghi perfetti per un’imboscata e insieme sprazzi di luci e ombre che spezzavano la monotonia della boscaglia. Quasi maledisse il proprio animo debole e la bellezza che scorgeva in un angolo di mondo forse letale. Quasi. Perché ciò che per tutti gli altri non era che un difetto, lei lo vedeva come il più grande dei pregi. Lì, sola sul sentiero, ribaltava ciò che conosceva e lo vedeva come qualcosa di buono. Lì era solo sé stessa.

Ambra

«Quindi se la prendo, finisce tutto? Così, pouf?» Il guardiano annuisce, la lunga barba bianca che sfiora il pavimento e spazza la polvere. Chissà da quant’è qui, poverino, bloccato nel gioco a causa di un bug dell’AI. Io ci sto da una settimana e spero che qualcuno dell’ospedale si sia ricordato di attaccarmi a una flebo, perché altrimenti non me la vedrò bene una volta risolto il bug e sbloccati tutti i giocatori che non sono più riusciti a effettuare il logout dal loro avatar. Amber Quest è stato il primo videogame immersivo rilasciato sul mercato ma dopo un inizio col botto, alcuni giocatori hanno iniziato a non poter più uscire, imprigionati all’interno del gioco.

Un Jumanji 2.0 ma con ambientazioni post apocalittiche dove la salvezza risiede nelle proprietà dell’ambra, di cui resta, neanche a farlo apposta, un’unica introvabile gemma. Scopo del gioco è rintracciare tale gemma attraverso una serie di missioni, recuperarla e portarla agli scienziati così che la replichino e salvino il mondo. In una settimana ho portato a termine la prima parte e adesso mi ritrovo proprio nel punto del bug, quando stai per entrare nel caveau dov’è tenuta e ti ritrovi risbattuto all’inizio del gioco. In teoria, l’uomo che ho davanti avrebbe dovuto essere un png, ma chi lo sa come mai, un tizio in Ohio si è loggato e ha assunto il suo aspetto, bloccando tutti i giocatori in questo punto. «E se andassi tu a prenderla? Giusto per vedere che succede.» È scioccato, ma è a metà tra un avatar e un png gestito dall’AI più avanzata al mondo – e lo so perché l’ho progettata io – quindi non mi dice no a priori. Ci pensa, guarda oltre la porta del caveau e lo vedo quasi muoversi. «Bravo, così» lo incoraggio, quando ci entra davvero. Il frammento di ambra sta in una mano, ma quando si allunga per raccoglierlo sento le pareti della stanza tremare. La vista mi si fa nera e…

Benvenuto in Amber Quest! Sei pronto a salvare il mondo?

Merda. Sarà una lunga settimana.

Tazza

Si è sbeccata. SBECCATA! Ha un cuneo al posto del bordo liscio dove di solito appoggio le labbra. Dove le ho appoggiate tutte le sante mattine negli ultimi tre anni, tutte, e adesso solo guardare la ceramica bianca mi fa venire da piangere. Perché era la tazza perfetta per il caffè della mattina; ne conteneva la quantità esatta a soddisfare il mio fabbisogno di caffeina, quella botta di energia che mi deve svegliare e senza la quale paio la versione brutta di uno zombie alzatosi con il piede in putrefazione sbagliato. Per tre anni mi ha impedito di trucidare chiunque trasudi un minimo di ottimismo anche nelle prime ore del mattino e adesso che l’ho prestata a ‘sto decerebrato per una volta, una soltanto, lui me la rende sbeccata.

E ha pure il coraggio di guardarmi con la sua faccia da pesce lesso senza capire che potrei infilarlo nel tritarifiuti così com’è, tutto intero, scarpe comprese. Come faccio adesso, eh? Come sopravvivo? «Mi hai sbeccato la tazza.» «Be’, puoi girarla e usarla dalla parte a posto.» Uh, crede che sia una proposta intelligente? Sì, glielo si legge in faccia che ci crede, lui, stupido pesce lesso che non è altro. Un’ameba avrebbe dato un contributo più consistente. Un’ameba non avrebbe fatto questo casino in partenza. «Su, dai, è solo una tazza.» Se non la smette col suo sorriso accondiscendente, giuro che glielo faccio sparire io. «Te ne compro un’altra.» Eh, no, adesso mi parte l’embolo. Perché non è una tazza qualunque ma la mia Tazza, la sola capace di tenermi in piedi al lavoro senza sentire gli occhi chiudersi dopo mezz’ora di chiacchiere a vuoto e pettegolezzi aziendali. È la sola e unica, e lui l’ha menomata. Vendetta!!!

Due ore dopo…

Sorseggio il caffè dalla parte non sbeccata, ma non è la stessa cosa. C’è una differenza e dovrò farci l’abitudine, perché non si torna indietro. Non si può aggiustare. Il tritarifiuti sì, però. Spero solo che il tecnico non mi chieda cosa ci ho infilato dentro.

Fatemi sapere se vi sono piaciuti 😊 Mercoledì i prossimi perché domani vi racconto della mia prossima avventura letteraria, nata da un racconto pubblicato proprio qui e che si intitola I Figli del Marchio – La Rivelazione!

Federica 💋

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