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  • Immagine del redattorefedecaglioni

Storytelling Chronicles #7

Buongiorno 😊

Eccomi che torno a proporvi il mio racconto per la Storytelling Chronicles! Ormai siamo tutti rodati su cosa sia questa rubrica, creata da Lara de La Nicchia Letteraria e con grafica di Tania di My Crea Bookish Kingdom, e ad Agosto il tema da cui lasciarsi ispirare per il racconto poteva appartenere a una di queste categorie (in grassetto la mia scelta):

– frase: Se non ricordi che amore t’abbia mai fatto commettere la più piccola follia, allora non hai amato. (William Shakespeare)

– fiaba vista in chiave moderna (anche in modo comico)

una tempesta che cambia (a voi la scelta di cosa cambi, se l’acconciatura di una donna disperata che aveva appena sistemato i capelli con ore di duro impegno o altro)

E io vado a richiamare… Clarissa, che ci ha tenuto compagnia già nel primo e nel quarto appuntamento, ma con una narrazione un po’ diversa! Vi chiedo scusa, perché è un po’ lunghetto (non riuscivo a smettere di scrivere), però spero vi piaccia 😊

Dopo aver piantato in asso il suo attore preferito e i suoi pregiudizi, Clarissa decide di dare una svolta alla propria vacanza: visiterà otto tra le dimore storiche più belle del Regno Unito, dall’Inghilterra alla Scozia. Un un viaggio on the road che, però, rischia di non partire con il piede giusto.

Arrivo a Elephant and Castle, respiro traffico, smog e quella leggera pioggerella che oggi avvolge Londra e… Mi sento a casa! Un autobus mi sfila accanto, prepotente, perché, ehi, lui è Drogon e io lo sfigatissimo ragazzino scambiato per una succulenta capra nella seconda stagione di Game of Thrones. Mi faccio piccola piccola, conscia di aver superato di mezzo millim… pollice la mia parte di carreggiata, e rallento per farlo passare. Con un tizio in bici che mi sorpassa a sinistra, dandomi della nonna. «Mia nonna pedalava meglio di te!» Credo mi mostri indice e medio, ma io sto sorridendo. Una versione contorta e sinistra in stile Gatto del Cheshire strafatto, ma ho un sorriso che mi campeggia in faccia da ben oltre un’ora. Più di preciso, da quando ho guardato nello specchietto retrovisore e ho visto l’espressione allucinata di Toby mentre lo abbandonavo alla mercé di Devon. Perché io sono Clarissa, Nata dalla Sorpresa finita male, Khaleesi del Grande Nudista, La non Groupie, Madre dei Ne-Vale-La-Pena, Distruttrice di figure di merda e, appellativo più importante di tutti, La Principessa che l’ha-mollato-su-due-piedi. Lui e la sua stizza per le groupie! Faccio il giro dell’isolato, fiondandomi tra le case basse di Hampton Street con ancora tutto quel bendidio davanti agli occhi. La manna dal cielo biblica si fa schifare in confronto allo spettacolo che vedrò in loop fino alla fine dei miei giorni. E poi rido, perché io e la mia uscita da Drama Queen abbiamo appioppato un assist epico alla mia autostima… e un gol in zona Cesarini al suo orgoglio da maschio bello e sicuro di sé. Non che l’interessato ne sia del tutto consapevole, eh. Ma chissene… tanto nemmeno Voldy sapeva che, sfregiando Harry per rifarsi il corpo, ne sarebbe uscito con due fessure da distributore automatico al posto del naso. O che Robert Pattinson sarebbe morto in Scozia per resuscitare nei pressi di Seattle e brillare al sole tipo una distesa di paillettes. Beata ignoranza! Parcheggio in cima alla via a fondo chiuso, in quella che sembra una realtà alternativa di casette a schiera di mattoni marroni, tetti bassi e giardini minuscoli ma curati fino alla noia. Alla mia destra, però, lo Strata sbuca come un fungo architettonico uscito male, lui e la sua forma da rasoio elettrico che sembrano dirmi: “Tranqui, Clari. Stai ancora a Londra. Nun te preoccupa’.”, e mi sento rincuorata. Per un attimo ho pensato che l’euforia mi avesse giocato un brutto tiro. Non sarebbe la prima volta. Borsa alla mano, cammino lungo il marciapiede, un occhio al grattacielo residenziale dalle finestre enormi e l’altro ai numeri sulle villette. Strabismo 2.0, vieni a me! Mi sento una novella allenatrice di problemi visivi, più che di Pokemon, ma dopo l’incontro di questa mattina devo tenere i piedi per terra. Perché non a tutti capita di trovarsi davanti il proprio meraviglioso, divino (e nudo) idolo, sentirsi dire che “Sei proprio il mio tipo”… e poi un “Non ne vale la pena”. Ho bisogno di un po’ di stabilità e lo Strata a destra e le case a sinistra fanno al caso mio. Elementi tangibili, Clari, solo elementi tangibili. Concentrati su quelli! E sulle persone care. Per questo svolto nel penultimo vialetto sulla sinistra, arrivo al portoncino color cuoio bruciato e busso con forza, le nocche che picchiano per sovrastare il fracasso della canzone che suona a tutto volume dall’altra parte. Per oggi meglio evitare nuove sorprese a gente che non si aspetta di vedermi senza preavviso. «’Rivo!» La porta si apre, con Dancing Queen che emerge e devasta le orecchie della strada silenziosa mentre il viso squadrato di Tara fa capolino. I suoi occhi ridotti a fessure sospettose si allargano, le narici fremono e un urlo eclissa – e non esagero – le voci delle svedesi alle sue spalle. «Clarinette!» «Queenie!» Cinquecento baci, abbracci, gridolini e dei “Quando sei arrivata?”, “Stamattina” dopo, me ne sto spaparanzata sul divano a fiori di Tara, uno scone mangiucchiato a metà che sparge briciole a destra e a manca. Forse sono un po’ agitata. «E poi ha detto: “È solo un’altra fan senza speranza. Non ne vale la pena.”» borbotto, in un’imitazione perfetta della voce di Mr Odio-le-Fan. «Ma vi rendete conto!?» Tara è sconvolta, il telefono che mi riprende mentre registriamo la mia mattinata e i suoi commenti per inviarli a Chiara. Ho bisogno del loro parere, anche per la vendetta contro la logorroica. «Primo: la spoilerata va fatta pagare!» aggiunge, girando la telecamera verso di lei e immortalando un cipiglio da guerra in stile Braveheart che mi scalda il cuore. «Senza se e senza ma.» Io e Tara Queenslane, detta Queenie per la sua attitudine a decretare il fato altrui come una regina priva di scrupoli, ci conosciamo da quando ho messo piede in Inghilterra la prima volta. Compagne di banco nel mio anno di scambio culturale, complici in qualunque avventura abbia vissuto in vacanza e sorelle acquisite l’una per l’altra, Tara è una versione afro di Taylor Swift, solo con lunghe trecce color ebano. E nessuna attitudine per il canto. Per questo mi chiama Clarinette, “clarinetto”, perché sostiene che la mia voce sia “suadente e grintosa”, come lo strumento musicale. Se lo dice lei… «Secondo» continua, levandomi lo scone di mano con un’occhiataccia. Forse le ho sporcato un po’ il divano… «Stasera tu e io usciamo. Andiamo al Club, o in qualche altro locale altrettanto figo, e dimostriamo al genere maschile che noi valiamo.» «Come la crema viso» ridacchio tra me come una scema per la mia pessima battuta. Tara mi fissa confusa, poi si gira verso la telecamera e la guarda nello stesso modo, come se Chiara fosse davvero dietro lo schermo. «Con l’età peggiora.» «Oh, avanti. Non posso più nemmeno fare la scema?» «Puoi, ma…» il campanello la interrompe, seguito dalla voce di un uomo che la chiama a gran voce. «Aspetta un attimo.» Mi ritrovo il telefono in mano, lo sguardo eloquente rivolto alla Chiara immaginaria. Queenie e gli uomini, un rapporto spinoso come quello tra Batman e Superman, tra Ben Affleck e Henry Cavill. Sto spiegando a Chiara di quanto sia impossibile per lei costruire un rapporto con l’altro sesso quando sento Tara urlare e poi la porta sbatte. Ho appena finito di inviare il video che la mia amica torna indietro, la faccia arrabbiatissima e una sua versione in miniatura che le si aggrappa al collo e alla vita, stile koala con l’albero dell’eucalipto. «Elkie!» La figlia di Tara mi scruta curiosa, poi si ricorda di chi io sia e il suo visino da ventitrémesenne si apre a un sorriso parzialmente dentato. Lancia un urletto, staccandosi da sua madre e finendo per fare da cozza a me, la sua zietta preferita, nonché unica. Io la tempesto di baci, solletico e abbracci stretti stretti, mentre lei ridacchia felice e sua madre fuma di rabbia. Due anni fa la vita della mia amica è cambiata, e non solo perché si è ritrovata a essere madre a soli ventisei anni, con un lavoro non ancora del tutto certo e una famiglia che ha tagliato i ponti con lei non appena ha saputo di essere incinta. Oltre a questo, ha dato il benservito al nullafacente esemplare di sesso maschile che, in tutta la sua vita, si è reso protagonista di una sola azione positiva: donare metà dei propri geni a Elkie. Per ora, pare aver anche fatto un buon lavoro. «Questa signorina ci farà compagnia?» chiedo, facendo il solletico all’interessata e guadagnando in cambio un “‘Ia ‘Issa ‘asta” tutto sghignazzante. «Avrebbe dovuto stare da suo padre questo weekend, ma lui ha casa occupata dagli amici del coinquilino» Tara storce il naso. «Ha detto che l’alternativa era sua madre, ma piuttosto che lasciarla con quella vipera ho deciso di bruciare il mio turno di pace.» «Meglio. Faremo una serata tra ragazze diversa» sotto sotto ne sono felice. Non ho voglia di andare per locali, non stasera, con il ricordo di Toby ancora fresco. «Tu, Elkie, io e…» Tara sposta le trecce dalle spalle e sbuffa. «Ti prego, non dire Disney.» Annuisco, più in fissa della bimba tra le mie braccia. «E le principesse Disney!»

«The cold never bothered me anyway!» Giro su me stessa in mezzo al marciapiede e Elkie fa lo stesso, solo dal suo lato del cancellino, con Tara che ci guarda e scuote la testa, la mano a nascondere la faccia per l’imbarazzo. In realtà, è solo gelosa perché io e sua figlia siamo due Elsa migliori di quanto lei non sarà mai! «Mi ricordi quanti anni hai» commenta, prendendo in braccio la sua bimba e pulendole un avanzo di colazione dall’angolo della bocca. Ieri sera abbiamo affrontato Frozen, uno e due, ma nulla ha conquistato Elkie come la mia superba interpretazione di Let It Go e questa mattina ha richiesto un bis, terminato giusto sul vialetto di casa. Un attimo prima che mi decida a partire davvero per il tour dei tour! «I tuoi. Grazie l’ospitalità, per avermi ascoltata, per la bella serata tra ragazze e per questi» le rivolgo un sorriso più che smagliante e infilo in borsa le guide che mi ha prestato. Le case storiche più belle del Regno Unito mi attendono. «Te li riporto tra nove giorni.» «Senza fretta, Clarinette. Divertiti, visita tutti quei bei pezzi d’architettura anglosassone» copre le orecchie di Elkie e sussurra. «E cercati un gran bel pezzo d’uomo con cui scordare l’attorone!» Rido e alzo il pollice, consapevole che, anche approvando il suo consiglio, non credo di potercela fare. Toby ha lasciato il segno, in più di un senso. Vederlo vestito come un nerd, poi, ha cancellato tutto il mio interesse per i suoi profili social. Chi si accontenterebbe di vedere i film del Signore degli Anelli, quando si sa che il libro è cento volte meglio? Con tutto il mio rispetto per Viggo Mortensen, nei volumi in cui compare, Aragorn fa svergognare chiunque! Mi arriva un nuovo messaggio. È di Chiara, la risposta al video di ieri e all’audio in cui divento Elsa che Tara le ha mandato a tradimento mentre cercavo di far ridere Elkie. Appena lo leggo, rido.

Sempre sobria nelle tue spiegazioni… Per l’omicidio contami solo se già sai dove occultare il cadavere. La logorroica deve pagarla anche per me, ma non ci tengo a finire dietro le sbarre.

E al primo ne segue subito un altro.

Kevin chiede se ti serve una mano con lo stronzo. Lui, Neil e Rick sono in fissa con Gomorra e il #teamSolberg si è offerto come spezza-ossa.

Sono tentata di accettare l’offerta. Il ragazzo di Chiara e i suoi due, altrettanto belli e ben piazzati, fratelli farebbero un figurone come squadra vendicativa. E sapere che sono disposti a tanto per me, per ripagare l’offesa subita in stile Savastano, è davvero importante. Ma non posso accettare. Abitano tutti a Washington ed è un po’ fuori mano al momento.

Di’ al #teamSolberg che sarà per la prossima volta ❤︎ Come va con Tu-sai-cosa? Tu-sai-chi lo sa? Aspetta, ma cosa fai alzata alle 4 di mattina!?

Quando abbiamo… ho deciso di usare un messaggio in codice per la gravidanza, la zia Rowling è stata un fonte di ispirazione immediata. Perché cercare altre parole quando qualcuno ha già saputo esprimerlo meglio di te!? Saluto Tara, un bacio spropositato a Elkie, che me ne fa ricevere in cambio uno tutto umidiccio, poi salto in auto, accendo e… resto ferma, il telefono che mi previene dal partire.

Lotte è stata male tutta notte… Si è appena addormentata. Kevin lo sa, mi è scappato mentre ci occupavamo della piccola. Pessima tempistica, ma è contento. Molto. Ti saluta. E conferma: l’offerta resta valida. A proposito. Come va la vacanza? Deciso dove andare?

Chiara è una santa. Come pure il suo ragazzo e sua figlia Charlotte, una bimbetta irriverente di cinque anni, nonché la vera ragione per cui quei due si sono conosciuti e innamorati. Galeotto fu il babysitteraggio…

Tour delle dimore storiche. Parto adesso e arriverò in Scozia! Salutami il paparino!

Collego il telefono all’impianto audio e tra le scelte possibili, la riproduzione casuale che parte con Highway to Hell fa scoppiare a ridere Tara, che dal vialetto agita la manina di sua figlia per farmi salutare. Oh, sì. Oggi lascio Londra e imboccherò la mia personale autostrada per l’inferno molto volentieri.

Un’ora e mezza di autostrada dopo, con la mia Vauxhall che si è infilata a fatica su per una stradina nel mezzo del Berkshire, trovo parcheggio davanti alla prima meta del mio viaggio. Le rovine del castello di Donnington si stagliano grigie nel paesaggio verdeggiante, una fortezza inamovibile davanti alle nuvole plumbee che le sovrastano e che non mi fanno ben sperare. Mmm. Non davano pioggia oggi. Ma quelle sagome nere un po’ mi mettono paura. Potrei rimettermi in marcia verso la prossima meta, sperando che il cattivo tempo non mi segua. Però sono già qui e non credo ci vorrà molto a visitare ciò che resta del castello medievale. Guardo l’auto, poi il castello, tentata dalla vista. Ma sì, cosa potrà mai accadere in una mezzoretta? Ci sarebbe voluto un coro di “Cit.” in sottofondo quando ho osato chiedermelo. Perché saranno anche trenta minuti scarsi di visita, ma quando faccio per uscire dalla grata che funge da porta alle rovine, uno scroscio improvviso trasforma il prato e il vialetto sterrato in una pozza di fango. No, questo non è solo uno scroscio. È una tempesta, è la muraglia cinese dei temporali. Il guardiano, un signore di mezza età stempiato e con la pancia alla Filottete di Hercules, il cartone della Disney, mi affianca e fischia, stupito anche lui dalla quantità di acqua che riesce a cadere. «Durerà un po’, signorina. Hai un ombrello?» Ovviamente no… però ho il cappuccio della felpa, che ringrazio di essermi ricordata di indossare. «Farò una corsa. Ho l’auto parcheggiata giusto alla fine del sentiero.» «Sicura?» «Sì. Filerà tutto liscio» sorrido al signore, indicandogli la barriera d’acqua, e lui scuote la testa, nascondendo però l’espressione divertita. «Come la pioggia*.» Sfidando il Signore di tutti i temporali, mi metto a correre sotto quella che sembra quasi una sassaiola di gocce. Le sneaker scivolano sulla ghiaia, stile giocatore di curling. Unica differenza: io non ho uno scopettone a tenermi in equilibrio e quindi paio una papera con evidenti problemi motori. Non scivolare. Non scivolare. Non sci… Volo, letteralmente. Sto per arrivare all’auto quando il piede mi parte per la tangente e finisco culo a terra nello spiazzo fangoso. Con la caduta, ovvio, mi ritrovo a faccia in su verso il temporale, il viso e la testa completamente fradici. Meraviglia… «Coraggio, Clari» mi rimprovero, nera di rabbia per la sfortuna. «Un po’ te le chiami.» Completamente bagnata, sporca di terra e incazzata con me stessa perché dovrei starmene zitta, recupero la chiave dell’obbrobrio dalla borsa e… E niente. Guardo il tasto, lo premo, studio l’auto. Mi prende in giro!? Premo a ripetizione il quadratino nero sul telecomando, l’acqua che continua a cadere mentre a me sale il nervoso perché, mannaggia la miseria, questo coso non funziona. Perfetto! La tecnologia decide di lasciarmi a piedi quando? Nel bel mezzo del diluvio universale. Rivolto come un calzino l’aggeggio incriminato, cercando la chiave d’emergenza. Dovrebbe essere inserita… «Mi prendi per il…» un tuono squarcia l’aria e io salto in aria, il telecomando inutile che cade a terra. Non ha la chiave di emergenza. Ergo: sono fregata!

* Ho adattato il detto inglese right as rain, che sarebbe il nostro “liscio come l’olio”, ma mi piaceva il doppio senso. Perdonatemi: Clari non può esimersi dalle battute sceme!


Eeee… fine! Sarò felice di leggere le vostre impressioni sul racconto e su questa nuova avventura di Clarissa e Toby 😊

Passate una buona giornata Federica 💋

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