Buongiorno e buon lunedì!
Anche per questo mese torna un nuovo racconto per la rubrica di scrittura creativa a cui partecipo da quasi due anni, la Storytelling Chronicles, ideata da Lara di La Nicchia Letteraria e con grafica di Tania di My Crea Bookish Kingdom! Questo mese i temi sono stati scelti a cascata dai/dalle partecipantə, vale a dire che ognuno di noi ha suggerito un tema il quale è stato poi sviluppato in un racconto dalla persona che ha commentato subito dopo.
Quindi il mio tema, suggerito da Lara, è stato: “storie d’amore ambientate a scuola. Ergo, ciò che avrei voluto affrontare nel prossimo racconto sarebbe stato un qualcosa dove il liceo e i sentimenti fossero i protagonisti indiscussi”.
Devo dire che è stata un po’ una faticaccia, infatti pubblico quasi allo scadere del mese! Però mi sono divertita e senza altri indugi mi presento Audrey e Nate!
Starcreek High
Mia mamma mi vuole morta. Non c’è altra spiegazione che giustifichi perché mi trovo in casa del decerebrato più fastidioso di tutta la mia scuola a dargli ripetizioni di letteratura. Un decerebrato che si finge tale. Nate non è stupido, anzi, e lo sappiamo tutti e due che nell’ultimo compito in classe ha fatto schifo solo perché ha passato le ultime due settimane a esplorare le tonsille di Candice Fergus. Uno spettacolo che mi sarei risparmiata, se non avessi la sfortuna di abitare proprio nella casa accanto di colei la cui gola è stata oggetto di un tale puntiglioso studio. Ho provato a tener chiuse le tende quando sapevo esserci Nate nella casa dall’altra parte del vialetto ma – sfortuna ancor più grande – ho una memoria fotografica, il che rende ancora vivido nella mia mente il ricordo di quell’unica volta in cui li ho effettivamente visti. Un’unica volta che mi ha condannato a questo strazio. «Perciò Shakespeare, nei sonetti, vuole raccontare del destino dello scrittore, soggetto al volere del committente e della musa, la cui figura può essere sia benevola che cattiva, a seconda di quanto elargisce.» «Di cosa?» mi domanda svogliato, la testa appoggiata sul palmo mentre mi osserva con un mezzo ghigno fastidioso. «Cosa “Di cosa”?» Il ghigno di Nate diventa completo, come se fossi caduta in una trappola che vede solo lui. Si raddrizza e trascina la sedia ancor di più sotto al tavolo della cucina. Il mio ginocchio si scontra con il suo, cosa che sembra divertirlo. Si piega verso di me e mi scruta dall’alto della sua statura da promessa del basket. «Che cosa elargisce la musa?» Tiene la voce bassa, come se fossimo solo noi due in un luogo tutto nostro. Sì, ok, siamo effettivamente soli, perché i suoi lavorano tutto il giorno e ha spedito la governante chissà dove non appena mi ha fatta accomodare in casa. Però mi sta provocando con i suoi modi rilassati e filtranti. E no, io a questa provocazione non posso non rispondere. Gli scocco un sorriso timido, abbassando appena le palpebre per guardarlo da sotto le ciglia. Come se fossi in imbarazzo davanti alle sue attenzioni. Poi, quando meno se lo aspetta, gli copro la faccia con la mano e lo spingo indietro. In modo davvero poco elegante. Nate strabuzza gli occhi. Sono sicura che nessuno l’abbia mai trattato così. Lui, la stella della Starcreek High, osannato dai ragazzi e cotta segreta delle ragazze sin da che gli ormoni ci rendono tutti “petulanti esemplari di stupidità umana” – parole di mio padre, non mie. Sono stata compresa in quella categoria anche io, per un paio di settimane, durante la prima superiore. Perché anche io avevo una cotta segreta per Nate, che è meravigliosamente scomparsa quando mi ha definita una “Quattrocchi tutta pelle e ossa”. Lui non ha idea che l’ho sentito e a me sta bene così. Soprattutto adesso che devo dargli ripetizioni. «Primo: qualunque cosa ti passi per quel tuo cervello da primate non troppo evoluto, dimenticatela» esordisco per poi puntare l’indice sul libro aperto che campeggia tra noi. «Secondo: la musa elargisce favori, vale a dire…» Gli tiro un piccolo calcio nello stinco per farlo smettere di sogghignare ed è un piacere sentirlo gemere di dolore. «Vale a dire, che dispensa ispirazione, in diversi gradi e modi.» «Come tu dispensi punizioni?» Sorrido. «Ma bravo, Nate! Allora non sei tutto muscoli e niente cervello.» «Ah, Panky così mi offendi.» «Non chiamarmi così» sibilo, abbassando lo sguardo sul libro. Ovviamente, Nate conosce il mio scomodo secondo nome. Audrey Pankhurst1 Johns, così hanno pensato bene di chiamarmi i miei genitori, e adoro il fatto che entrambi i miei nomi derivino da due donne che hanno fatto la storia. Davvero, lo adoro. Ma non quando quest’essere lo usa per prendermi in giro, visto a cosa allude2. «Perché? Da piccoli lo adoravi.» Giusto. Nate è anche il mio ex credevo-fossi-il-mio-migliore-amico, il ragazzino che mi ha fatto da spalla e da complice fino alla quinta elementare e poi si è trasformato in un adolescente figo che non aveva più tempo da perdere con me, l’amichetta quattrocchi tutta da compatire. «Sì. Prima che scoprissimo che i bambini non li porta la cicogna, né nascono sotto i cavoli.» «Cioè prima che scoprissimo 16 and Pregnant» puntualizza sempre con il suo mezzo ghigno. «È lo stesso.» Mi sistemo gli occhiali sul naso e torno a sfogliare il libro. «Allora, se guardiamo la numerazione possiamo vedere che…» «Da quando sei diventata una copia di Mrs Morton?» chiede sporgendosi in avanti proprio per rubarmi gli occhiali. «Nate! Ridammeli!» Scatto in piedi per allungarmi più facilmente verso di lui ma non sono la sola, e lui con la sua maledetta altezza si guarda bene dal tenerli alla mia portata. «Scimmia decerebrata che non sei altro! Ridammi gli occhiali!» Sghignazza, ma lo sento solo perché sono cieca quasi come una talpa e non distinguo la sua sagoma dal resto della cucina. Vedo delle forme sfuocate e non lo faccio di proposito, ma un singhiozzo mi chiude la gola. Sbatto più volte le palpebre per scacciare le lacrime che mi hanno riempito gli occhi. Non voglio piangere, non davanti a lui, ma perché mi ha portato via proprio gli occhiali? Perché non si è limitato a chiamarmi Panky e a prendermi in giro come prima? Perché si è comportato esattamente come i suoi stupidi amici? Chiudo gli occhi perché altrimenti piango davvero, mentre mi rendo conto che Nate ha smesso di ridere. Magari se n’è anche andato, perché non lo trova così divertente darmi il tormento. Sarebbe troppo bello per essere vero. Infatti sento che sbuffa, però un secondo dopo le sue mani calde mi spostano i capelli per trovare le orecchie e infilare le bacchette con un movimento goffo. «Quante storie per un paio di occhiali.» Resto di sasso, mentre un paio di lacrime alla fine riescono a sfuggirmi lungo le guance. Mi decido a riaprire le palpebre con il cuore che batte per l’ansia e per fortuna adesso vedo tutto alla perfezione, compresa l’espressione buia di Nate. È di nuovo seduto al tavolo, le dita che giocherellano con una matita mentre tieni gli occhi puntati sulle pagine del libro. È il ritratto dell’indifferenza, una visione che mi stringe lo stomaco e scatena un nuovo singhiozzo. Ovviamente se ne accorge e quando punta su di me i suoi occhi scuri mi sento piccola come una mocciosa. Settimana scorsa, all’uscita da scuola, il suo gruppo di amici mi hai riservato lo stesso trattamento, finendo per rompermi gli occhiali e costringendomi a comprarne un paio nuovo, e che adesso lui mi rifili quest’occhiata quasi infastidita riapre una ferita che pensavo di aver ricucito. Non che lui lo sappia, visto che era impegnato a esplorare le tonsille di Candice con tale dedizione. «Non sono solo un paio di occhiali» lo scimmiotto. «Senza non ci vedo, stupido imbecille.» «Era uno scherzo, Audrey!» si giustifica, offeso e anche infastidito. «Dai, non è morto nessuno. Siediti e calmati, così puoi finirmi di spiegare la divisione in due blocchi dei sonetti di Shakespeare.» L’ho detto che Nate non è davvero stupido. Altrimenti non saprebbe già quello che io in teoria dovrei spiegargli… Quindi perché sono qui? «Deve essere divertente, vero?» Domanda retorica e se ne rende conto perché non mi chiede di cosa parlo. «Te l’ha Derryl di togliermeli? O sono stati i figli di Coach Wayne?» Nate mi scocca occhiata spaesata. «Perché avrebbero dovuto? È successo qualcosa?» Mi affretto a raccogliere le mie cose, testa bassa e sguardo puntato sul tavolo perché non voglio vedere la certezza che sa di cosa parlo stampata sul suo viso. Non gli credo, non può non saperlo visto che sia Derryl sia Sharon e Jimmy Wayne fanno parte del suo gruppetto di amici. «Chissà che risate quando glielo racconterai! Audrey la Quattrocchi che va in crisi perché le si tolgono gli occhiali.» «Non so di che blateri!» «Molto bene. Visto che blatero, me ne vado a casa.» Mi allontano dalla cucina con i suoi passi alle calcagna. So già che mi prenderà perché più alto e più veloce, però resto comunque sorpresa e infastidita quando mi si para davanti per bloccarmi. Resta fissarmi per un secondo, arrabbiato quanto me per quello che è successo in questi pochi minuti. Poi il suo viso diventa ancora più scuro. «Ti hanno fatto qualcosa?» «Come se al magnifico e osannato Nate Coleman importasse.» Gli punto l’indice contro il petto con forza, per dargli fastidio, per fagli anche solo un pochino male quanto ne ha fatto lui a me con il suo “Era solo uno scherzo”. «So che ti sto antipatica, che sono solo una quattrocchi pelle e ossa, ma se sei mai stato davvero mio amico, evita di prendermi per il culo!» Deve restare veramente di stucco, perché riesco ad andarmene da casa sua senza che aggiunga nient’altro. Sapevo che sarebbe andata a finire male, perché quando c’è di mezzo Nate, niente nella mia vita gira per il verso giusto!
* * *
«Hai sentito?»
Violet, la mia migliore amica e quella che sa praticamente tutto di me, si siede sulle gradinate vuote lasciandosi andare di peso. Ha gli occhi che brillano come un bambino a Natale, segno che deve essere successo qualcosa di catastrofico a una delle cheerleader o a quelle del gruppetto di Sharon Wayne. Sinceramente non sono dell’umore giusto per sentir parlare di loro, nemmeno dopo due giorni passati a ignorare tutto ciò che a che fare con Nate. Due giorni passati anche a cambiare strada ogni volta che rischiavo di incrociarlo nei corridoi.
Se n’è accorto di sicuro, anche perché ho sentito i suoi amici farglielo notare diverse volte, ma non mi interessa. Questa volta ho veramente chiuso con tutto ciò che riguarda lui e chi gli sta attorno.
Ecco perché me ne sto seduta sulle gradinate della palestra nell’unico giorno in cui la squadra non ha allenamenti. Qui si che posso starmene da sola senza dover per forza imbattermi in qualcosa che lo riguardi.
«Se è coinvolto il primate innominabile, non mi interessa.»
Torno a guardare il libro di letteratura ma Violet ha ben altri programmi. Nemmeno riesco a protestare quando me lo strappa di mano e lo lancia ai suoi piedi senza troppi complimenti.
«Questo devi saperlo! L’intera scuola è in fermento.»
«Perché? Hanno finalmente scoperto che Candice si è rifatta le tette?»
Triste ma vero. A sedici anni la mia vicina di casa è già schiava della chirurgia plastica ma Violet scuote la testa.
«Sarebbe bello, ma no. Non è ancora giunta l’ora del suo declino.» Mi stringe entrambe le mani tra le sue e mi obbliga a girarmi verso di lei. «Nate Coleman ha fatto a pugni con Derryl Evans.»
«Cosa?»
Un piccolo brivido mi scuote dalla testa ai piedi. No, Nate non ho fatto nulla per mettere in crisi la sua amicizia con Derryl. È solo una stupida diceria a cui ovviamente Violet ha subito creduto.
«Giuro! Kathy Riley lo ha detto a mezzo secondo anno e lo ha saputo da una fonte super affidabile.»
Matt Riley. «Il migliore amico di Nate.»
«Tombola, Pankhurst!»
Lei è la sola persona che riesce a non far sembrare ridicolo il mio secondo nome. È anche l’unica a cui permetto di usarlo.
«E questo perché dovrebbe interessarmi?» Fingo di non volerlo sapere, e lo faccio anche spudoratamente. Fingere è sempre la soluzione migliore quando non voglio far sapere a Violet di avere un punto debole.
«Perché secondo Kathy, a detta di tutti quelli del secondo anno, Nate e Derryl hanno litigato perché Evans ha fatto lo stronzo con una certa persona.»
«Non me.»
«Sì, Panky.»
Non è Violet a rispondermi, ma la voce bassa di Nate alle mie spalle. La mia “amica”, perché da oggi verrà degradata senza possibilità di appello, sorride come un gatto col topo e adesso capisco che tutta la sua fretta per farmi voltare serviva a distrarmi.
Diventa però chiarissimo quando Nate si rivolge direttamente a lei. «Grazie, Goodwill. Ti devo un favore.»
«Ci conto, Coleman.» Mi abbraccia forte e poi inizia a scendere le gradinate. «Buono studio, Pankhurst!»
«Non ti aiuto più con chimica» le urlo dietro.
«Sì che lo farai!» grida di rimando e io alla fine sorrido.
Perché sì, nonostante la minaccia, l’aiuterò comunque per superare la verifica di chimica.
«Audrey.»
Giusto, non mi sono ancora voltata verso Nate! Inspiro per farmi coraggio e come un condannato mi giro per affrontare il ragazzo che è stato la mia cotta segreta forse per un po’ più di due settimane. Vedergli un occhio nero mi fa abbastanza impressione.
«Santo Cielo, Nate! Che hai fatto all’occhio?»
«È frutto dell’unico pugno che Derryl è riuscito a mandare a segno.»
«Ti fa male?»
Ok, ho detto che non mi interessa e che non avrei più voluto avere niente a che fare con lui. Ma quell’occhio sembra davvero doloroso.
«Non tanto» minimizza con un sorriso sghembo.
Dopo un attimo di esitazione si siede accanto a me, le gambe rannicchiate nello spazio tra una fila e l’altra mentre la sua statura lo fa sembrare un gigante su una sedia per bambini, nonostante le gradinate siano spaziose.
«Ho saputo che ti hanno rotto gli occhiali» dice allungandosi con le braccia all’indietro, lo sguardo puntato sul campo più in basso.
«Sì, la settimana scorsa. Poco prima dell’esame di letteratura.» Inutile negare, quando i responsabili hanno già confessato.
«Sono stati degli imbecilli.» Si sfiora lo zigomo con la mano e sussulta quando le dita raggiungono l’orbita scura. «Coach Baxter ha sospeso entrambi dalla squadra.»
«Stai scherzando, vero?»
Sono indignata. La nostra non sarà una grande cittadina ma qui il basket è praticamente una seconda religione. Tutti, anche chi non segue lo sport come la sottoscritta, sanno che settimana prossima ci saranno i play-off del torneo e che la nostra squadra era la favorita proprio perché ci sarebbe stato Nate. E sì, anche quel cretino di Derryl Evans.
«No. Mi perderò la partita e di sicuro diversi osservatori della NCAA3.»
«Oh, Nate, mi dispiace.»
«A me no.» Si stringe nelle spalle. «E anche Coach Baxter ha detto che ho fatto bene a dargli una lezione. Solo non è contento che lo abbia fatto così vicino ai play-off.»
«Ci credo! Avresti dovuto pensarci prima di comportarti da troglodita!»
«Sei seria?» Scuote la testa in risposta alla mia ramanzina. «Mi faccio cacciare dalla squadra dopo aver fatto a pugni con un mio compagno per quello che ha fatto a te, e tu mi rimproveri di essermi comportato da troglodita?» «Perché lo sei stato!» mi difendo, diventando però rossa in viso perché non sono poi così disinteressata a quello che ha fatto. «Siamo nel Ventunesimo secolo! Alle ragazze non serve più essere protette dal “maschio alfa”. Hai dato per scontato che non mi fossi difesa da sola.» «Ti hanno rotto gli occhiali e l’altro giorno a casa mia sei quasi scoppiata a piangere a dirotto solo perché te li ho tolti. Scusa se ho pensato fossi la vittima di un bullo idiota.» «Primo: li hanno rotti solo perché mi hanno presa alla sprovvista mentre uscivo da scuola. Evans non ti ho detto che gli ho fatto scendere le scale in cemento con il fondoschiena?» La mia domanda lo sorprende e non poco. «Davvero?» Annuisco, sollevando tre dita. «Terzo anno di autodifesa. Direi che me la cavo anche da sola contro i bulli.» «A saperlo non mi sarei fatto espellere dalla squadra» quasi mugugna ma sta sorridendo. «E il secondo motivo?» «Quale secondo motivo?» Nate sfodera quel suo mezzo sorrisetto che lo rende il ragazzo più bello che abbia mai incontrato. «Se non lo sai tu che hai detto “Primo” e poi mi hai rivelato essere la versione femminile di Bruce Lee.» «Ah, sì.» Perché sono scoppiata a piangere a casa sua. «Secondo: ho pianto perché…» «Sì?» «Perché sei scemo, ma non cattivo come Derryl. Perciò quando mi hai preso gli occhiali sono andata leggermente in crisi.» «Leggermente?» Solleva un sopracciglio ma subito lo abbassa con una smorfia per il dolore. «Eri in crisi nera come il primo giorno di elementari, quando Paul Shiver ti ha tirato il fango nei capelli.» «Come accidenti fai a ricordartelo?» «Ho una buona memoria.» Si stringe di nuovo nelle spalle. «Sai, adesso che metà della squadra non mi rivolge la parola potrei aver bisogno di una nuova, vecchia, amica.» «Dovrei essere io?» «Se ti va. Oppure potremmo saltare l’essere amici e potresti diventare direttamente la mia ragazza.» Mi strozzo con la mia stessa saliva e vado avanti a tossire diversi minuti prima di capire che è incredibilmente serio. «Ti sei per caso preso una commozione celebrale? O hai un disturbo della personalità?» «No, Audrey Pankhurst Johns. Mi piaci da quando ho atterrato Shiver nel fango all’età di sei anni, solo perché ti aveva colpita per sbaglio.» «Non per fare la guastafeste e rovinare questa meravigliosa dichiarazione» la prendo larga anche se ho il cuore che mi batte a mille, «ma mi eviti come la peste da sette anni e fino a una settimana fa hai fatto le radiografie alle tonsille di Candice Fergus. Con la lingua.» «È stato un incidente di percorso. Ed è successo una volta sola, cioè quando tu ci hai guardati dalla finestra di camera tua.» «Non vi ho guardati! È stato un caso sfortunato.» Lo osservo di sottecchi e Nate si lascia scivolare in avanti sul sedile della gradinata, cosicché le nostre teste siano alla stessa altezza. «Davvero è successo una volta sola?» «Te lo giuro. E per la cosa dell’ignorarti, era autoconservazione.» «Autoconservazione? Come no…» «Beh, iniziare la prima media con lo scoprire che mi sarebbe piaciuto baciare la mia migliore amica è stato alquanto uno shock. Ci ho messo anni ad accettare la cosa.» Restiamo zitti tutti e due per diversi minuti, finché non sento la testa di Nate che mi tocca la spalla e mi ritrovo quasi a iper ventilare. «Nessuna reazione? Davvero?» «Sono rimasta senza parole, direi che è una reazione sufficiente.» Appoggio la guancia sui suoi capelli e mi allungo per prendergli la mano. È calda come l’altro giorno e mi sembra così strano essere passata dal non rivolgergli quasi una parola all’essere qui con lui come se non avessimo mai smesso di essere amici. O forse qualcosa di più. «Quindi?» chiede intrecciando le nostre dita. «Siamo amici o usciamo insieme?» «Beh, direi che la risposta sembra essere scontata. Non hai mai avuto bisogno di ripetizioni, vero?» Nate sfodera il suo mezzo sorriso. No, non è affatto stupido.
Il nome della protagonista è ispirato a Audrey Hepburn (1929-1993), attrice e ambasciatrice dell’UNICEF dal 1988 all’anno della sua morte, e a Emmeline Pankhurst (1858-1928), attivista e politica britannica che guidò il movimento delle suffragette del Regno Unito, portando le donne a ottenere il diritto di voto.
Panky, nell’espressione hanky-panky, indica un qualcosa che va contro le regole o le convinzioni consone per la morale comune. In genere è riferito al sesso e ai rapporti intimi.
La NCAA (National Collegiate Athletic Association) è un’organizzazione senza scopo di lucro che gestisce le attività sportive degli atleti iscritti ai programmi sportivi dei college e delle università negli Stati Uniti e in Canada.
Come tutti gli altri racconti della rubrica, spero che anche questo vi sia piaciuto! Fatemi sapere cosa ne pensate e se volete magari rivedere questi due giovani protagonisti!
Federica 💋
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