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Immagine del redattorefedecaglioni

Storytelling Chronicles #18

Buongiorno!

Anche a luglio torno con un nuovo racconto per la Storytelling Chronicles (banner di Tania My Crea Bookish Kingdom), la rubrica di scrittura creativa che ormai ben conoscete e che ha fatto da casa a tanti personaggi! Per questo mese, Lara (La Nicchia Letteraria) ha proposto come tema il prendere ispirazione per genere, pov e protagonista dal libro che più ci è piaciuto del/la nostr* autore/trice preferit*. Mi spiego: io ho scelto Lisa Kleypas (e questa settimana sarà anche dedicata a lei) e il suo romanzo Peccati d’inverno, perciò il genere è il romance storico, il pov è la terza persona e per protagonista un maschio etero di alta estrazione sociale.

Date le premesse, non potevo non tornare da Lizzie e Marcus, anzi solo Marcus questa volta. Qui vi lascio le scorse “puntate”: I nipoti del duca Ciò che il ton si attende La determinazione di una lady

E ora il racconto di oggi! Buona lettura!

Come sconvolgere un duca

Marcus si sistemò a uno dei tavoli liberi del White’s e ordinò da bere. Ne aveva un disperato bisogno, anche se non era nemmeno mezzogiorno. Anche se ancora riusciva a sentire il sapore del brandy bevuto quella notte con Elizabeth. E sulle sue labbra. Elizabeth, mugugnò tra sé, il volto della sua protetta che gli balzò davanti agli occhi come una visone. Che abbiamo combinato? Non aveva scuse che giustificassero il suo comportamento inqualificabile, né si poteva dire troppo ubriaco da non sapere cosa stesse facendo. No, lui aveva approfittato della situazione con estrema lucidità e se lei non si fosse tirata indietro, solo Dio sapeva cosa sarebbe accaduto tra loro. Marcus ne aveva avuta una chiara visione per il resto della notte, trascorsa a fissare le fiamme nel camino della biblioteca e poi in quello nelle sue stanze. Era rimasto sdraiato sulla propria poltrona finché il suo valletto non si era presentato per aiutarlo a vestirsi. Al povero Summers era venuto quasi un colpo quando aveva visto lo stato in cui si trovava; non che potesse biasimarlo, dato che si era spaventato anche lui nello scorgere il suo stesso riflesso. Ringraziò con un cenno il cameriere quando gli fu servito il whisky, si fece lasciare la bottiglia e trangugiò il primo bicchiere in pochi sorsi. Sperava che il fuoco lungo la gola annientasse la brama cocente che da ore gli impediva di pensare in modo sensato, reso incapace di articolare una qualche replica a ciò che era accaduto tra lui ed Elizabeth. Perché il gentiluomo che era in lui premeva per portarlo ad accettare l’unica conclusione possibile dopo il loro incontro di quella notte. La sua coscienza gli aveva gridato una sola parola per tutta la notte. Matrimonio, pensò di nuovo con sconcerto, dovrei sposare Elizabeth e proteggere il suo onore. Tuttavia, la frase che lei gli aveva rivolto prima di correre fuori dalla biblioteca era la ragione che lo aveva portato al club, attento a non incrociare nessuno mentre usciva di casa. Arricciò le labbra al ricordo di quella mattina. Chi voleva prendere in giro? Lui, il decimo duca di Colton, era scappato per la paura di incrociare Elizabeth o, peggio ancora, sua madre. Rose Haynes aveva la vista acuta quando si trattava di scorgere l’inquietudine del figlio e Marcus non voleva correre alcun rischio, non quando lei lo avrebbe di certo convinto a seguire la strada più onorevole. Ma non era certo che fosse ciò che Elizabeth desiderava. Lo aveva definito istruttivo, il bacio che si erano scambiati e che aveva alterato il suo mondo, insieme all’idea che si era fatto di Elizabeth; lo aveva ringraziato, come se quell’esperienza non avesse smosso in lei nient’altro che i confini di ciò che cercava in un consorte, come se lui non facesse parte della lista dei possibili mariti e le fosse servito solo per schiarirsi le idee. Le dita gli si strinsero attorno al bicchiere, i denti che digrignarono quando una risata improvvisa arrivò dalla poltrona libera dall’altro lato del suo tavolo. Guardò con la coda dell’occhio l’uomo che si era appena seduto al suo fianco. Alto, i tratti marcati e gioviali circondati da una folta chioma castana, James Crosswell, quinto conte di Ashbury e suo vecchio amico, lo squadrava con un sorriso di scherno per l’espressione arcigna che di certo piegava il volto di Marcus. «Se avessi saputo che il tuo invito era per sorbirmi il tuo pessimo umore, me ne sarei rimasto tra le braccia della mia ultima conquista, Vostra Grazia.» «Non usare quel tono, James» lo pregò, con un gemito roco a incrinargli la voce. «Non ho la forza di rispondere alle tue battute.» «Ma di tracannare whisky sì, a quanto vedo. Bene, benvenuto nel club dei perdigiorno Marcus» lo canzonò l’altro, chiedendo un bicchiere anche per sé. «A cosa dobbiamo il tuo strano desiderio di bere?» A una giovane donna che mi ha definito “istruttivo”. Quel pensiero trovò voce in un mugugno attutito da un nuovo sorso di whisky. E che mi ha liquidato senza nemmeno voltarsi indietro. «Per caso ha a che fare con il ballo di mia madre? Ho saputo che sei stato al centro dell’interesse di tante giovani donne.» «Sì, ma… non esattamente.» Esitò, osservando prima il bicchiere e poi il suo vecchio amico. Doveva trovare il coraggio di chiedergli ciò che gli interessava per la sicurezza di Elizabeth, per mettere il suo stesso animo in pace. «Dovrei sapere qualcosa su tuo fratello?» James sollevò un sopracciglio, incuriosito. «Nulla che debba essere menzionato. Certo ha gusti strani, per un giovane della sua età, ma nulla che il tempo non possa correggere.» Marcus alzò la testa di scatto. «Gusti strani?» Buon Dio, dopo il discorso fatto a Elizabeth la sera prima non poteva essere un depravato. Marcus si sentì gelare al pensiero di ciò che le sarebbe potuto accadere con un uomo del genere, uno che difendeva la morale in pubblico mentre in privato… «Sì, sai, come il latte rispetto al vino o l’arrosto di vitello invece dell’anatra glassata. Le solite cose.» L’amico sorrise, fece un sorso di whisky e poi proseguì. «Ma cosa pretendi da un ragazzino di dieci anni.» «Dieci… cosa?» Marcus squadrò l’espressione divertita di James per un secondo e realizzò l’ovvio. «Hai due fratelli.» «Tre, in verità» confessò con un velo di buonumore, «ma presumo parlassi di Henry, visto che Michael e Sean non hanno ancora l’età per partecipare ai balli.» Avrebbe dovuto saperlo. James amava prendersi gioco di lui, soprattutto della sua impostata serietà. Ci era passato a Eton e a Oxford, ma ancora non riusciva a farci l’abitudine. Specie ora, che gli premeva conoscere cosa avesse detto o fatto Crosswell dopo aver lasciato Elizabeth al ballo. «Allora?» Suonò brusco, fin troppo, ma l’alcool lo rendeva meno accorto. «Cosa puoi dirmi di tuo fratello?» «Te l’ho detto, nulla che debba essere menzionato. È il secondo, ha una buona rendita personale e, che la Regina e Dio ce ne scampino, Henry è talmente puntiglioso che asciugherebbe le scarpe anche prima di entrare in una stalla, oltre a essere il gentiluomo più garbato che esista.» «Mm.» Non lo era stato per dire a Elizabeth di comportarsi come una degna lady inglese, un nuovo mugugno accompagnò quel pensiero. «Quindi, vediamo se ho capito: mio fratello ha ballato due quadriglie con Lady Elizabeth Whitmore, giovane signorina sotto la tua tutela, e dopo una chiacchierata in terrazza, a cui ha assistito tutto il ton, tu mi chiami per chiedermi di Henry.» Elencò il tutto con fare assente, poi però strabuzzò gli occhi. «Misericordia, non dirmi che dobbiamo organizzare un matrimonio?» «Sul mio cadavere» borbottò Marcus, le labbra a un soffio dal bicchiere. «Come, prego?» James restò di sasso perché sì, aveva udito le sue parole, e Marcus era certo non lo avesse mai visto ridotto in quello stato. «Potresti dirmi che succede?» «Elizabeth ha deciso di sposarsi, ecco perché siamo rientrati a Londra.» La mente del duca fece ritorno per un istante ai giorni trascorsi a Haynes Manor. Se fossero rimasti in campagna nulla sarebbe cambiato tra loro. «Una pessima ragione, se mi permetti, ma comprendo che per una giovane con così tanti anni di lutto alle spalle la ricerca di un marito possa essere uno svago non da poco.» James rabbrividì, una smorfia a piegargli le labbra. «Spero non vada a caccia di titoli. In quel caso, avvertimi. Vedrò di fuggire in campagna in men che non si dica.» Marcus scosse la testa. «Cerca un matrimonio d’amore.» «Oh, un animo romantico! Quelli sono i peggiori, amico mio. Eppure non capisco come tutto questo abbia a che fare con mio fratello.» «Sembra che da bambino le abbia promesso di sposarla, qualora avesse iniziato a pensare al matrimonio.» James lo studiò per un secondo di troppo, poi si lasciò andare a una risata fragorosa, tanto da attirare su di loro le occhiate degli altri gentiluomini presenti. Marcus sentì il collo scottare, l’imbarazzo per essersi esposto tanto che gli fece distogliere lo sguardo dall’amico per puntarlo sul proprio bicchiere. Sapeva anche lui quanto fosse ridicolo dar credito alla sciocca promessa di un bambino, tuttavia sentiva un fremito di rabbia attraversarlo al pensiero che Elizabeth potesse essere tentata dalla sua proposta. Dopo la notte appena passata, Marcus era ancor più intenzionato a vagliare tutti gli scapoli su cui avesse posato gli occhi, pronto a intervenire se qualcuno avesse osato prendersi delle libertà. Esattamente come ho fatto io, maledizione! Si rimproverò un’altra volta, incapace di decidere se sfidarsi a duello da solo o se tornare di corsa a casa per cercare di capire come stesse reagendo Elizabeth al loro bacio. E magari provare di nuo… No! Decisamente no! «Perciò tutto questo è per una sciocca promessa fatta da bambini?» chiese il conte di Ashbury quando riuscì a placare l’attacco di risa. «Capisco l’elevato senso dell’onore, Vostra Grazia, ma non ti sembra un po’ troppo?» «Le ha rinnovato la promessa, James, durante la chiacchierata in terrazza.» «Oh.» Gli occhi scuri di James si velarono appena di preoccupazione. «Classico di Henry. Un po’ avventato ma lodevole. Te l’ho detto, è un gentiluomo fino al midollo.» «Mm.» Marcus arricciò le labbra, l’alcol che non lo aiutava a tenere a freno i pensieri. «Non sempre a quel che so.» «Spiegati.» Il tono formale di James non lo stupì. Il conte era sempre pronto a difendere la famiglia. «Ha redarguito Elizabeth, ricordandole in malo modo quali fossero i sani principi delle lady inglesi. Non è stato propriamente un gentiluomo.» «Se ha offeso Lady Whitmore, faremo ammenda. Gli parlerò, Marcus, e sistemeremo tutto.» L’amico gli lanciò un’occhiata di sbieco. «Ma cosa ti prende? Non può essere stata solo colpa di quel puntiglioso di Henry.» «No, è successo anche qualcos’altro quando ho parlato con Elizabeth.» Avrebbe voluto chiedergli se gli fosse mai capitato di scoprire quanto una persona potesse sembrargli diversa soltanto per aver scoperto un nuovo anfratto del suo carattere, ma Marcus fu interrotto da un valletto e da un biglietto indirizzato proprio a lui. Veniva da casa. Ruppe il sigillo con il tagliacarte che gli avevano consegnato insieme alla busta, le dita impazienti mentre gli occhi scorrevano le parole tracciate dalla calligrafia di sua madre.

Per quanto i tuoi impegni ti tengano occupato, a casa la tua presenza sarebbe alquanto gradita. Altrimenti la cara Lizzie, i tuoi nipoti e io saremo i soli a intrattenere Mr Crosswell e sua madre per il pranzo.

Marcus guardò l’orologio da taschino e imprecò tra sé per l’ora. «Sei impegnato per pranzo?» Si ritrovò a chiedere con un’occhiata sbilenca a James. «Nulla di inderogabile. Perché?» «Ottimo. Hai appena guadagnato un invito da me» lo informò, il corpo che scattò in piedi travolto da una scarica di energia nervosa. «Ci saranno anche tua madre e tuo fratello.» «Come… Aspetta, quale dei tre?» «Henry, il puntiglioso» rispose, il fastidio e lo scherno che si mescolarono nella sua voce. «Vieni?» James sorrise apertamente. «Non mi perderei questo pranzo per nulla al mondo.»

E fine! Spero che questo racconto vi sia piaciuto e, se l’ispirazione mi assiste, spero anche di potervelo raccontare, questo pranzo a casa Haynes! Incrociate le dita per me 🤞 e se vi va, fatemi sapere le vostre impressioni sul racconto 😊 

A presto Federica 💋

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