Buon Lunedì!
Oggi racconto 😊 è una storia che partecipa alla XXI Challenge Raynor’s Hall e che aveva questo tema: “Regina”! Ci ho messo un po’ a finirlo, ma spero vi piaccia la storia di Vesta e Idris!
Barcollava lungo il cunicolo buio, le mani appoggiate alle strette pareti per non perdere l’equilibrio. Nuvole di polvere e sabbia si alzavano al suo passaggio, compagne fidate che si incollavano ai suoi abiti e li insudiciavano abbastanza da darle l’aspetto di una popolana.
Vesta conosceva quel corridoio a memoria e il suo corpo ricordava ogni sporgenza o intralcio nel cammino senza che le servisse una torcia per scorgerlo ed evitarlo. Procedeva spedita, gli occhi inutilizzati fino all’istante in cui un tenue bagliore iniziava a rischiarare la sua via di fuga da palazzo. Aspettava quell’indizio dell’essere quasi giunta a destinazione come un’assetato attende la pioggia, beandosi della sua comparsa come se lo scorgesse per la prima volta. Vesta iniziò a distinguere i contorni delle pareti di roccia grezza e si sentì rinascere, il respiro nuovamente regolare e non più trattenuto nell’impazienza di lasciarsi alle spalle la casa natìa, con i suoi obblighi, i rituali estenuanti e le regole soffocanti.
Viveva la propria esistenza come un condannato, trattenuto nella prigione da sbarre che per lei assumevano le sembianze di abiti da cerimonia, stecche, corsetti e crinoline rigide rivestite di seta, raso e tessuti così preziosi da poter sfamare decine di famiglie se venduti. Doveva essere la bambola perfetta, simbolo della magnificenza reale anche a dispetto della tragedia che le aveva donato il trono in tenera età. Per Vesta la guerra era, e sarebbe sempre rimasta, una ferita sanguinante, impossibile da sanare finché l’usurpatore avesse continuato a calpestare il suolo sacro del suo regno. Eris e i suoi territori devastati tormentavano il suo sonno, uniti al massacro che le aveva strappato entrambi i genitori. Il re e la regina erano i martiri della lotta a Dres, il tiranno che sedeva sullo scranno appartenuto agli antenati di Vesta e che l’aveva esiliata nei territori a sud, tenendola costantemente sotto assedio con una delegazione di ambasciatori.
I piedi della regina esiliata di Eris solcarono la fine sabbia bianca della caletta nascosta, lasciando dietro di loro leggere impronte a mano a mano che la giovane sovrana si allontanava dal passaggio nella parete di roccia. Era veloce nel lasciarselo alle spalle, le onde che subito cancellavano i segni del suo passaggio sulla distesa immacolata, per impedire a occhi indiscreti di seguirli a ritroso e trovare così l’accesso alla fortezza Erisea.
Proseguì sulla battigia, seguendo la linea del promontorio che sovrastava il suo capo fino ad imbattersi in una linea di alberi nani. Gli esili fuscelli dalla bianca corteccia butterata, con le foglie di un denso color amaranto, si estendevano in un fitto filare, una barriera impenetrabile dall’esterno ma il rifugio perfetto per chiunque si fosse trovato dall’altra parte.
Vesta alzò le mani in segno di resa. Il fruscìo del vento tra le fronde non aveva nascosto un secondo movimento, più secco, deciso, il suono di una freccia incoccata e puntata alle sua schiena.
«Prima o poi sarò io a sorprenderti» disse, guardando gli alberi da sopra una spalla. Un vago sorriso indispettito le muoveva le labbra piene.
«È più facile che io trovi il tuo passaggio segreto» replicò una voce bassa e profonda dal fitto della foresta. «O che la regina Vestalia riconquisti il suo regno»
Vesta non ebbe nessun sussulto a sentir pronunciare il suo nome completo. Diversi mesi addietro avrebbe creduto di essere stata riconosciuta, ma quelle sue uscite le avevano insegnato che di lei non si curava mai nessuno. Vedevano tutti Vestalia. Vesta, invece, restava nascosta, ignorata persino quando si mostrava alla luce del sole come in quel momento.
«La regina è più attenta a compiacere gli ambasciatori di Dres che a riprendersi il suo regno» abbassò le mani e si incamminò verso i filari di alberi nani.
Lì, fuori dalla sua corte e dagli intrighi di palazzo, era semplicemente Vesta. Mentiva, recitava la parte della sguattera nelle cucine pur di poter respirare e vivere in quella che sentiva essere la sua vera pelle. Vesta non aveva obblighi se non verso se stessa.
Dal folto degli alberi nani emerse la figura incappucciata che le aveva salvato la vita tempo prima. Da sciocca era rimasta intrappolata in una rete di alcuni rastrellatori di schiavi e ne era uscita solo perché era stata aiutata da lui.
«Idris»
Non si incontravano sempre. Idris era un cacciatore di taglie, viaggiava ovunque e non restava mai a lungo in nessun luogo.
«Ragazza»
Salutandola con un cenno brusco, il cacciatore liberò il proprio viso dalle ombre del mantello e il sole calante del tardo pomeriggio catturò i riflessi ebano dei suoi capelli. Il volto aveva tratti duri, scolpiti da anni di frenetico lavoro, felini quasi, che a Vesta ricordavano quelli visti da bambina sulle statue degli dèi presenti nel tempio sacro, a Eris. Per lei era un viso inconsueto, così diverso dai profili pasciuti o imberbi che affollavano la corte. Non era armonico, non era bello; ma era attraente, perché trasudava vita ed esperienza, nonostante non avesse che un anno più di lei.
Idris abbandonò l’arco di legno nero lungo la gamba, la freccia prima incoccata che ritrovava posto nella faretra accanto alle sue simili, e si districò dal pesante tessuto avvolto attorno alle spalle, mettendo in mostra le lunghe cinture di armi avvolte intorno al busto. I suoi movimenti erano lenti e misurati, perfettamente aggraziati nella loro semplicità.
«Fatto buon viaggio?»
Il cacciatore mostrò un ghigno stanco, sedendosi sul limitare del bosco. Vesta conosceva quell’espressione: la caccia era stata impegnativa, proficua certo, ma rischiosa e non retribuita tanto quanto avrebbe dovuto. Idris detestava quei lavori, ne preferiva di meno imprevedibili. Tuttavia era con quelli che riusciva a vivere senza arrancare nella povertà.
Con quelli e con le vendite che gli garantiva lei.
«Cos’hai per me oggi?»
Vesta aprì la casacca logora e liberò l’asola della tasca interna. All’interno, esattamente dove la aveva riposta lei ore prima, trovò la gemma opalescente. I riflessi azzurri della superficie presero fuoco quando l’ultimo sole li colpì, fiamme indaco e viola che sembravano muoversi tra le dita della regina di Eris mentre lei mostrava a Idris il più prezioso dei suoi tesori.
«Una Stella della Notte. Ultimo esemplare delle dodici pietre che re Yas regalò alla sua consorte il giorno delle nozze» espose la gemma agli occhi del cacciatore, cupi mentre la osservava.
«I defunti genitori dell’attuale sovrana. Un colpo audace, questa volta»
«Non se accorgerà nessuno. La regina è convinta che sia andato perduto insieme agli altri durante la fuga da Eris»
Vero. I consiglieri credevano che nessuna delle dodici gemme fosse più in suo possesso, cadute preda dei saccheggiatori di Dres. Ma lei ne possedeva ancora una, l’ultima, e ora se ne sarebbe separata.
Vesta si avvicinò al cacciatore e gli fece scivolare la pietra preziosa nella mano.
«Come per le altre, metà del ricavato della vendita è tuo»
«L’altra va ai ribelli che combattono Dres in nome di Vestalia. Stessi requisiti per i compratori?»
«Sì» Vesta si voltò ad osservare la battigia, l’orizzonte, oltre il quale il sole si stava tuffando per un’altra notte. «Vendilo a chiunque viva in uno dei quattro regni ostili a Dres»
Idris si rialzò e rivestì in silenzio, la Stella della Notte scomparsa in una delle lunghe sacche per le armi che pendevano attorno al suo corpo.
«Un giorno me lo dirai?» chiese il cacciatore, guardando il profilo della ragazza ormai nascosto dalle ombre della sera.
«Cosa?»
«Come fuggi da palazzo»
Un angolo della bocca di Vesta accennò un sorriso furbo, un accenno che Idris non riuscì a scorgere prima che lei si allontanasse. Immaginava che il cacciatore sospettasse della sua identità; non era stupido in fondo. Tuttavia lei non avrebbe risposto a quell’implicita domanda.
Il loro accordo funzionava bene. E così sarebbe proseguito.
Lei avrebbe salvato Eris a qualunque costo.
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