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Lost somewhere – Capitolo 6

La ragazza non seppe esprimere nemmeno a se stessa ciò che avvertì nel momento in cui conobbe Wolf. Turbamento, sorpresa, timore, frustrazione e una gran voglia di scappare si impadronirono di lei nell’istante in cui si accorse che quello che era stato pronunciato era il suo nome di battesimo. Emilia non era una delle tante identità che si era costruita per sopravvivere; era lei, in tutti i suoi difetti, le sue ferite, le cicatrici, i suoi errori e le speranze che aveva abbandonato per riuscire a tirare avanti. Si sentì vulnerabile, nuda, pronta per essere dissezionata da qualsiasi sguardo che si fosse posato su di lei; era così indifesa che un sibilo d’aria l’avrebbe ridotta in mille pezzi. Emilia. Lei era Emilia… No, lei non era più Emilia, era solo una ragazza che scappava, perché quel nome le era stato tolto ed era stato sepolto sotto strati così spessi di tempo che nessuno scavando lo avrebbe potuto riportare alla luce. Eppure qualcuno aveva preso una pala, si era recato nel cimitero della memoria e aveva dissotterrato quel nome e tutto ciò che a esso era legato. Quel qualcuno era Wolf e quando gli occhi di Emilia si posarono su di lui, lei capì di essere stata usata ancora una volta. Già ascoltando la sua voce si era accorta che l’uomo incappucciato e Wolf erano la stessa persona, ma quando lo vide e riconobbe in lui l’uomo incontrato nel bar deserto, si sentì sprofondare. Vergogna non poteva essere, però non era nemmeno rabbia per avergli permesso di raggirarla in modo così plateale. Lei, una bugiarda, era stata fregata e aveva creduto alle menzogne di qualcun altro; era stata tenuta sotto controllo senza che lei se ne accorgesse. Se quello non fosse bastato a farla sentire incredibilmente stupida, si aggiunse anche la quantità spropositata di volte in cui aveva ripensato a quella sera e le sciocchezze che aveva immaginato.

Offesa, ecco come si sentiva. Era offesa e infastidita, non solo da Wolf e dalle sue macchinazioni, ma soprattutto da se stessa per aver abbassato la guardia. Aveva passato troppo tempo nello stesso posto e era diventata debole. Si sentiva talmente umiliata che decise di infischiarsene di tutto, persino di dove fosse l’uomo della foto.

Aveva ancora le mani in tasca, le dita della sinistra che sfioravano il biglietto da visita e il resto.

«Questi sono tuoi» tolse la mano e appoggiò tutto il contenuto sul tavolo. «Io me ne vado»

Recuperò le sue borse e si avviò verso la porta scorrevole per uscire da quella casa e lasciarsi tutti loro alle spalle. Wolf le sbarrò la strada con un braccio mentre stava per passare e lei lo guardò immediatamente con aria di sfida. Non le piaceva essere presa in giro.

«Fammi passare»

«Tanta strada e non vuoi nemmeno sentire quello che ho da dire?»

«No» gli afferrò la mano e la staccò dallo stipite. «Ho altro da fare»

«Come vuoi» Wolf si spostò dalla porta, incamminandosi verso il grande tavolo. «Però sei tu a rimetterci, Emilia»

Sentire il suo nome le bloccò le gambe. Non era più abituata a sentirsi chiamare in quel modo; le riportava alla mente un periodo della sua vita che fino a quel momento aveva finto non fosse mai esistito. Vedeva davanti agli occhi un volto ben preciso, due labbra che mimavano le lettere del suo nome, e udiva la voce tenebrosa che da bambina l’aveva svegliata ogni notte. Era tutto finito e non avrebbe permesso a nessuno di riportarla indietro.

«Abbiamo un nuovo incarico» annunciò all’intera squadra. «Questa volta si tratta di qualcosa di grosso. Tez accendi lo schermo»

Emilia non aveva il coraggio di voltarsi, non voleva vedere, ma non riuscì nemmeno ad andarsene, perciò resto ferma, mentre la sala si faceva dapprima buia e poi veniva illuminata da un bagliore bluastro. Sentiva che presto avrebbe fatto un balzo in un passato che avrebbe volentieri lasciato dov’era.

«L’uomo che vedete è Sergej Petrov, trafficante, schiavista, assassino e capo di uno dei giri criminali più grandi del Paese. Ritenetevi fortunati perché siete i soli al di fuori della sua cerchia a sapere che aspetto abbia»

«Sergej Petrov» ripeté Zomor. «È fantasma. Nessuno sa chi è o dove è. Se sai, è perché tu con lui e presto tu morto»

«Esatto. Finora nessuno lo aveva mai visto, ma una telecamera lo ha ripreso all’uscita di un locale privato quattro giorni fa. Dubito che sia un caso, quindi dobbiamo pensare che Sergej volesse far sapere che è in città»

«Qual è il locale?» questa volta fu Claire a parlare.

«Lo stesso dove siamo stati ieri Yassin ed io. A una prima occhiata, non sembra abbia concluso nulla ma è presto per dirlo. Il nostro compito è tenerlo d’occhio, infiltrarci in qualunque tipo di affare stia conducendo e alla prima occasione, ucciderlo»

«Un piccolo lavoro» Emilia sentì risuonare i passi di Yassin sul pavimento. «Perché lo vogliono morto?»

«Una quindicina d’anni fa, Petrov era conosciuto per essere il capo di un gruppo di sicari particolarmente crudeli. Erano chiamati Mano Nera e facevano tutto il lavoro che i tirapiedi ordinari non potevano fare perché troppo grandi»

«Usava gruppo di nani?» Zomor ci scherzò sopra ma a Emilia si accapponò la pelle.

«Se fossero stati nani, la loro fama non sarebbe durata tanto a lungo. No, i componenti della Mano Nera erano bambini tra gli otto e i dodici anni. Sergej li faceva rapire dai quartieri più poveri, li addestrava e poi li usava per uccidere chi gli metteva i bastoni tra le ruote. Di solito, erano persone non legate al mondo criminale e quindi più facili da avvicinare con dei bambini» la luce sulla parete davanti a Emilia scomparve per un secondo, per riapparire subito dopo con un colore più grigiastro. Wolf doveva aver cambiato immagine sullo schermo. «Questa è la foto segnaletica di Tom King, arrestato all’età di undici anni perché trovato sulla scena di un crimine compiuto dalla Mano Nera. Dopo alcune settimane di interrogatori, la polizia riuscì a fargli confessare tutto quello che sapeva su Sergej e sugli altri membri, ma le indagini non portarono a nulla. Tom fu rilasciato e un paio di giorni dopo lo trovarono morto insieme a tutti gli altri bambini scomparsi. In tutto erano una trentina e furono eliminati perché ormai erano stati compromessi»

«Chi ci ha ingaggiati? I genitori dei bambini o i parenti delle loro vittime?»

«Entrambi e ieri si sono aggiunti anche i nemici di Petrov. Ci aspettano cinque milioni ciascuno alla fine di tutto, oltre a quello che riusciremo a sottrarre a Sergej»

«Perché ora?» domandò una voce esile che Emilia non aveva ancora sentito. Doveva essere il ragazzetto problematico al computer. Già, perché ucciderlo dopo tutto quel tempo? Lei conosceva la risposta ma aveva paura di ricordarla.

«Perché tutti lo hanno sempre creduto morto. Vi ho detto che i bambini scomparsi furono tutti uccisi, ma uno dei membri della Mano Nera non era stato rapito, faceva già parte della cerchia di Petrov prima dell’istituzione del gruppo di sicari, e fu il solo a sopravvivere» ascoltando Wolf, lo stomaco di Emilia si strinse. Non voleva sentire nient’altro, altrimenti sarebbe esplosa, ma lui non si fermò. «Fu anche il solo che riuscì a sottrarsi al controllo di Sergej e a scappare, e lo fece dopo avergli sparato. Useremo quella persona per entrare in contatto con Petrov e guadagnare la sua fiducia»

«Come puoi essere così stupido?» Emilia non riuscì più a ascoltare quelle assurdità. Aveva sopportato abbastanza e finalmente riuscì a voltarsi per guardare quei poveri illusi. «Non si fiderà mai di qualcuno che ha cercato di ucciderlo»

«E tu che ne sai?» Yassin non fece in tempo a bloccare Claire, che si alzò dal divano e si mise di fronte a Emilia con la chiara intenzione di picchiarla.

«È lei il nostro contatto con Sergej Petrov» Wolf fece tintinnare le monete lasciate sul tavolo. «Emilia è l’unica sopravvissuta della Mano Nera»

«Lei?» Claire le puntò l’indice contro la clavicola e premette l’unghia sulla pelle scoperta. «Un sicario?! Ma se non sa nemmeno fare a pugni»

«Togli quel dito» era finito il tempo dell’“Ascolta e poi decidi”. Emilia sapeva quello che doveva fare e il piano prevedeva la fuga anche quella volta, solo che la sua determinazione a scappare era molto più forte che in altre occasioni. Mai e poi mai sarebbe tornata davanti a Sergej e il solo motivo per il quale aveva seguito Claire fin lì era scoprire dove fosse per poi andarsene il più lontano possibile da lui. Aveva sempre agito così e non avrebbe certo smesso quando era necessario continuare in quel modo. Solo alla morte di Sergej si sarebbe fermata ma lei non aveva intenzione di cercare di ucciderlo una seconda volta. La prima e le sue conseguenze le erano bastate.

«Altrimenti?» l’unghia entrò ancora un po’ nella pelle.

«Ti sarà difficile puntarlo un’altra volta» piegò un braccio all’indietro verso la schiena, all’incirca all’altezza della propria cintura, cercando una cosa che usava solo in caso di emergenza. Tasto ma non trovò nulla.

«Se cerchi il tuo coltello, Emilia, l’ho preso io» Wolf glielo mostrò e poi lo mise sul tavolo. «Siamo qui solo per parlare»

«A me sembra che vogliate qualcos’altro da me» chiuse la giacca fino al collo quando la bionda tolse il dito dalla sua clavicola. «Io non intendo farlo, quindi ora me ne vado»

«Non lo rivuoi?» indicò il coltello.

Ci pensò quel tanto che bastava per decidere che aveva tenuto quel coltello troppo a lungo. Scosse la testa e voltò le spalle a quei cinque disperati. Voleva dimenticare ogni cosa che ancora la legava alla sua vecchia vita e riprendere a non esistere, esattamente come aveva fatto fino al giorno prima. Poco importava che conoscessero il suo nome o quella parte del suo passato; loro non erano nessuno e lei li avrebbe presto dimenticati, non li avrebbe nemmeno più rivisti perché Sergej si sarebbe occupato di quel contrattempo nell’unica maniera possibile. Erano condannati, uomini morti che camminavano, e lei non voleva fare parte del gruppo. E se ne stava già andando, era già arrivata a metà corridoio quando Wolf disse qualcosa che la convinse a tornare sui suoi passi. Avrebbe cercato di capire se fosse vero e poi se ne sarebbe andata, indipendentemente da quello che avrebbe scoperto. Era solamente curiosa di sapere se la distanza che poteva mettere tra lei e Sergej sarebbe bastata a tenerla fuori dai guai.

Si affacciò nuovamente sul salotto e dal modo in cui Wolf la guardava, si accorse che aveva fatto ancora ciò che lui si aspettava.

«Sì, Emilia» confermò, incrociando le braccia al petto. «Sergej ti sta cercando»

Una persona che si guadagna da vivere mentendo non può sopravvivere a lungo. Prima o poi si tradirà, finirà in una trappola e a quel punto sarà spacciata. Emilia sapeva che in tutti quegli anni aveva giocato col fuoco, si rendeva perfettamente conto di essere arrivata al capolinea e lo sapeva perché era stato Sergej a metterla in guardia. Lui le aveva insegnato tutto e le aveva anche detto che, alla lunga, non sarebbe sopravvissuta, non senza di lui; lo aveva urlato anche dopo che lei gli aveva sparato e poi era scoppiato a ridere. Ora capiva il senso di quella risata. Anche lei aveva le ore contate.

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