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La nascita della Regina Ribelle

Buongiorno a tutti!

Oggi deviamo dalle recensioni perché vi propongo il mio racconto per Il Club di Aven di questa settimana. I temi erano due anche questa volta: “Argento” di Sara e “Riscatto”, scelto da me. Poiché mi sembrava stessero bene insieme, li ho usati entrambi e questo è il risultato! Spero vi piaccia e che siate felici di ritrovare una protagonista che mi sembra abbiate apprezzato (è la stessa di Rebel Queen, se vi va di leggerlo, anche se in questo pezzo si fa un salto indietro nel tempo) 😊

Vestalia restò sola nella propria camera da letto. La giornata era stata estenuante, lunga e le aveva richiesto più temperanza e controllo di quanto normalmente non esercitasse su se stessa. Tutto solo per macinare pensieri sempre più cupi sul reale scopo del suo consiglio più stretto, sulle vere intenzioni dei tre consiglieri presenti e su quanto ognuno di loro tenesse alla sopravvivenza del suo popolo. In definitiva, si era rivelata una delle giornate più insoddisfacenti del suo regno. Quella in cui maggiormente aveva avvertito il giogo dell’Usurpatore stringersi attorno al suo collo, pesante e vero quanto il monile che realmente portava. I suoi consiglieri, al pari di lei, avevano letto le parole di Atori Moran, la sua supplica a non essere lasciato solo nel momento del bisogno. Le rappresaglie avevano fiaccato i ribelli e adesso quelli chiedevano alla loro regina di soccorrerli, di aiutarli nel modo che le era concesso. E inviare loro del denaro attraverso i canali segreti era il solo che sperava funzionasse. Ma il consiglio si era opposto, categoricamente, e lei non poteva prescindere dalla loro approvazione per mettere in atto una qualsiasi decisione, fosse essa ufficiale o segreta. La regina esule non si era mai sentita così impotente di fronte alle continue ingiustizie che Dres perpetrava entro e fuori i confini di Eris come in quel preciso istante. Si lasciò cadere sulla sedia della toeletta, il volto nascosto dietro le mani mentre osservava il proprio riflesso e quello della corona che le gravava sulla testa in quel momento. A cosa serviva essere regina se nulla poteva per il suo popolo? A che scopo mediare con gli ambasciatori del Tiranno quando lui non intendeva rispettare nemmeno il più semplice degli accordi? Il diadema d’argento e incastonato di diamanti poggiato sui suoi capelli non le sembrava che un vacuo simbolo della sua incapacità di regnare davvero, di fare ciò che era necessario quando doveva essere fatto. Nelle foresta ai piedi della Fortezza aspettava un emissario di Atori, e all’arrivo del prossimo giorno se ne sarebbe andato, portando al capo dei ribelli solo il devastante silenzio del Regno che stava cercando di proteggere e liberare. Vestalia non lo poteva permettere; non si sarebbe sentita responsabile dell’abbandono di coloro ai quali aveva giurato di dedicarsi anima e corpo. Ma come? Come poteva lei contravvenire allo stretto controllo sotto il quale viveva? Era la sovrana, ma nulla di ciò che faceva scappava allo sguardo viscido delle spie ospitate a palazzo con il suo recalcitrante benestare. Solo nella sue stanze osava lasciarsi andare ed essere pienamente se stessa, esprimere ciò che oltre la porta alle sue spalle non le era nemmeno concesso pensare. Tutto ciò che di lei volevano vedere era l’ostentata ricchezza, lo sfarzo dei gioielli e del tesoro che le era rimasto dalla fuga dalla sua terra, la perfezione di una bambola che accettava di buon grado ogni male che le veniva imposto, o che ricadeva sugli erisei. Il suo volto ricoperto con la tintura d’oro, il kajal e la polvere d’ocra le restituiva l’occhiata spenta che l’aveva accompagnata per tutta la giornata, mostrava colei che gli altri volevano fosse. Fu con gesti rapidi e precisi che tolse il trucco, riportando in superficie la ragazza stanca di aspettare che era obbligata a seppellire sotto strati e strati di vuota apparenza. Tutto nel suo volto appariva stremato, ma Vestalia sfregò il tessuto ruvido e umido ovunque, quasi volesse strappare via la maschera per ritrovare una parte di sé, per ritrovarsi. E poi, finalmente si vide, davvero, il proprio viso che si rifletteva nella cornice tonda dello specchio spoglio come lo era stato quella mattina. Studiò l’arcata regolare e netta delle sopracciglia, il taglio longilineo dei suoi occhi, il naso delicato e gli zigomi appena pronunciati; posò l’indice sulle labbra e ne disegnò il profilo pieno, con semplicità, con delicatezza, quasi avesse timore di non riconoscere più il suo vero aspetto. Quella era lei, con la pelle olivastra incorniciata da lunghi capelli castano-dorati, e non luccicante di tintura tanto costosa quanto futile. Era lei in tutta la sua esperienza e fragilità, nell’inesperienza della sua giovane età e nella forza che sentiva di dover trovare per aiutare il suo popolo. Capì che in quello specchio vedeva la regina che desiderava essere e sentì un fuoco crescere nel proprio petto. Afferrò la corona d’argento con entrambe le mani e la posò di fronte a sé. Ciò che possedeva erano ricchezze che avrebbero potuto sfamare intere famiglie, che avrebbero potuto portare al riscatto della sua gente dopo dodici lunghi anni di dominio e sfruttamento. Ricchezze in numero assai maggiore di quanto lei ritenesse necessario e che nessuno oltre a lei e alle sue ancelle poteva toccare. Il consiglio aveva vietato a Vestalia di fomentare e foraggiare la ribellione e la Regina si sarebbe astenuta, proprio come promesso quel pomeriggio. Ma chi sedeva nella stanza in quel momento era una persona che soltanto lei ricordava esistesse: era Vesta, la bambina e la ragazzina che solo qualche anno addietro giurava di ritornare a Eris per passare a fil di spada l’Usurpatore; era la giovane che conosceva il più grande segreto della Fortezza e che poteva usarlo per dimostrare quale fosse il suo valore, la tempra di una vera sovrana erisea. Perché il castello e le sue torri erano percorsi da una fitta rete di cunicoli e passaggi segreti, corridoi nascosti dietro le spesse pareti di pietra che conducevano ovunque nella Fortezza e fuori da essa. Solo lei e i suoi due più cari amici d’infanzia sapevano dell’esistenza di quelle vie, scoperte durante i loro giochi da bambini. Ne aveva in mente l’intera mappa e l’avrebbe usata per andarsene dal suo stesso palazzo. Il mattino seguente, Vesta avrebbe messo in moto il proprio piano. Sarebbe diventata la Regina Ribelle.

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