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  • Immagine del redattorefedecaglioni

Noia

Buongiorno e buon lunedì!

Torno a farvi visita dopo un po’ di tempo, assente a causa di una sessione estiva che, purtroppo per me, non è ancora finita… Ma se lo studio mi tiene impegnata, fortunatamente riesco a ricavare un po’ di tempo per scrivere! Il racconto che vi propongo oggi partecipa a Il Club di Aven e il tema era “Mi annoiavo alle feste, mi annoiavo alle cene…”. Devo ammettere di averlo un po’ rivisitato 😅 Però spero lo stesso che vi piaccia!

La schiena minuta si stese verso l’alto, il peso tutto spinto davanti sulle punte dei piedi e i talloni sollevati a far passare l’aria tra la suola consumata delle scarpe e l’asfalto seccato dal sole d’agosto. Il bambino allungò il braccio sopra la propria testa, l’indice puntato in direzione della sporgenza rotonda più bassa, una tra le tante nella lunga fila che adornava la targa dorata fuori dal palazzo in centro. Se qualcuno o qualcosa fosse sfrecciato sopra i tetti degli edifici e lo avesse visto in quel momento, il bambino sarebbe apparso come una formica con una zampina alzata quasi a indicare la porzione di azzurro visibile tra gli altri palazzi, così tersa e luminosa da fare male agli occhi. Ma lui non guardava il cielo. I suoi occhietti vispi erano incollati a quella sporgenza, ignaro tanto dei rumori che animavano la città in quel giorno d’estate quanto della voce dei suoi genitori che gli intimavano di non restare indietro. Tutto quello che voleva era raggiungere il tasto. Per lui era un gioco. Un’abitudine, quando i suoi genitori lo trascinavano per città sconosciute alla scoperta di monumenti privi di attrattiva per un bambino della sua età. Non appena scorgeva i bottoncini sulle alte targhe dorate dei palazzi, gli era impossibile resistere: si avvicinava, spostava il peso sulle punte dei piedi e nello slancio di guadagnare abbastanza centimetri puntava l’indice verso il campanello più vicino. Anche quel giorno si annoiava e non appena quel vecchio palazzo tutto curato, con i suoi grandi gradini in pietra che salivano e regalavano un angolo d’ombra nel sole a picco della città, era emerso dall’angolo di due strade particolarmente affollate, non era riuscito a trattenersi e si era lanciato verso la placca con i diversi citofoni degli inquilini, del tutto ignari della piccola mano che presto avrebbe turbato la tranquillità di uno di loro. Con un ultimo sforzo il bambino si arrampicò verso la sporgenza e il suo indice la premette con tutta l’esile forza che aveva in corpo. Una volta; due; e tanto per essere sicuro, anche una terza. Poi il piccolo e annoiato turista corse via, raggiungendo e abbracciando la mano della madre prima di sparire con entrambi i suoi genitori dietro all’angolo del grande palazzo ducale.

Grazie per essere stati con me e per aver letto il mio racconto!

A domani Federica 💋

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