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Storytelling Chronicles #4

Buongiorno 😊

La settimana ricomincia con un racconto per la Storytelling Chronicles, gruppo di scrittura creativa creato da Lara de La nicchia letteraria e con la grafica di Tania di My CreaBookish Kingdom. Questo mese il tema era libero, ognuna ha potuto scegliere ciò che voleva e anche se ammetto di aver fatto un po’ fatica a decidermi mi sono lasciata trascinare di nuovo da Clarissa, la protagonista del primo racconto (per rileggerlo, lo trovate qui), e dalla sua cotta per Toby Seddlithon 😉

Clarissa è partita per le vacanze. Passerà due settimane a girare per il Regno Unito, alla scoperta delle case e dei castelli più antichi dell’Inghilterra. Ma il primo giorno nella sua adorata, seconda casa non inizia nel modo migliore: tra spoiler, sorprese rovinate e un incontro tanto meraviglioso, quanto insperato, Clarissa dovrà di nuovo fare i conti con la differenza tra realtà e fantasia.

E… le avevano appena spoilerato il finale! Mesi di attesa, ore insonni passate sui social per sapere quando l’ultimo capitolo sarebbe uscito, intense chat nei fandom più oscuri e oltranzisti e Clarissa era riuscita a bruciare tutti i suoi sforzi in quasi dieci minuti di conversazione con Giada Monti, aka la logorroica del dipartimento. Erano stati i nove minuti e tre secondi più intensi della sua vita, peggio dell’unica ora di spinning a cui si era degnata di partecipare, per poi mollare e fuggire a gambe levate come l’anticristo davanti a Paolo Brosio. In quel momento, più che fuggire, avrebbe voluto seppellire Giada sotto una caterva di improperi e poi strapparle gli occhi dalle orbite. O aspettare quindici anni, fare a pezzi i suoi futuri figli e poi servire a Giada uno stufato cotto a puntino. Così, perché si sentiva più Arya Stark che se stessa e un po’ di tortura sanguinaria le sembrava allettante. Per la fortuna di Giada, si trovavano in due nazioni diverse, altrimenti a Clarissa l’arresto per omicidio volontario – decisamente volontario – non l’avrebbe tolto nessuno. Si sarebbe difesa, però. Perché la causa era più che legittima. «E poi lui muore! Cioè, ma ti rendi conto!?» al sentire il tono incredulo nel telefono, Clari abbassò lo sguardo sul proprio grembo, dove riposava il libro del misfatto. «Cinque libri a raccontarci la loro storia d’amore bollente e tormentata, poi lui viene decapitato!» «Ah…» chiuse il volume con uno scatto secco, senza nemmeno fingere di aver dimenticato il segnalibro. Non aveva più senso continuare a leggere. «E lei invece?» «Oh, cresce i loro gemelli e si sposa l’amico. Quella zocc…» «Scusa, Giada. Devo lasciarti. È stato… carino sentirti.» Carino quanto un’invasione di locuste, scarabei e pidocchi. Tutti in una volta. Sospirando, Clarissa abbandonò il volume nello zaino, raccolse armi e bagagli e si avvicinò all’addetta del servizio di noleggio auto di Gatwick a passo pesante. Quella vacanza si stava rivelando una pessima, pessima, pessima idea. A iniziare dal bidone magagalattico che le aveva rifilato la sua migliore amica. Non che Chiara non fosse giustificata. Finire all’ospedale per una lavanda gastrica post intossicazione alimentare e uscirne con un’ecografia del girino di sei settimane che le cresceva in pancia, a parer suo, rappresentava una motivazione sufficiente a spingerla sul primo volo per gli States, invece che portare avanti la loro “fuga tra ragazze” nella cara, vecchia Inghilterra. Aveva insistito lei perché portasse le chiappe dal futuro paparino e gli desse live la notizia. Chiara, che nei fumi dell’annebbiamento da shock se n’era uscita con un “Gli mando un messaggio”, sarebbe rimasta, fedele come Hachi con quel ben di Dio di Richard Gere. E Clari non se l’era sentita di fare la str… pessima amica. Quindi, invece di trovarsi entrambe a Gatwick, davanti alla versione umana del bradipo di Zootropolis, Chiara si stava godendo il suo volo intercontinentale alla volta di Washington D.C., mentre lei… Lei pregò che gli addetti alle auto non fossero “celeri” quanto la donna che, con occhio lesso, le chiese di rifare lo spelling del suo cognome. «M-a-n-c-i-n-i.» Chiara avrebbe riso come una matta. Non era mai successo – mai, in nove anni di viaggi in Inghilterra – che gli addetti alle prenotazioni di qualunque cosa, hotel, auto, eventi o biglietti, azzeccassero il suo cognome. Statisticamente era impossibile, ma Clari era l’eccezione alla regola e infatti si ritrovò a firmare il foglio dell’assicurazione come “Clarissa Mencini”. Almeno, quella volta era quasi esatto.

Habeo machina! lol Indovina: Clarissa Mencini… Non ridere (troppo).

Inviò il messaggio a Chiara proprio mentre un altro addetto le metteva in mano le chiavi della sua fiammante… Vauxhall?! Quell’auto era inguardabile, di un grigio deprimente e le scattò una foto, con cui di certo la sua amica si sarebbe divertita.

Ringraziami! Se non ti avessi spedita a W.DC, adesso dovresti salire su questo obbrobrio! P.s. La logorroica mi ha spoilerato il finale di “Divorami l’anima”… Mi serve aiuto!

Le avrebbe risposto quando fosse atterrata, quella pignola delle regole, ma ci teneva a condividere con lei le tragedie della giornata appena iniziata. L’orologio segnava le dieci e lei già ne aveva fin sopra i capelli. Poi, però, si mise alla guida, collegò il telefono all’impianto audio e nell’uscire dal parcheggio dell’aeroporto la voce di Sua Maestà Freddie invase la macchina con Don’t Stop Me Now. Più che un’auto, quel macinino grigio si trasformò in una discoteca su ruote, con Clarissa che scuoteva la testa a destra e a sinistra, un playback reso perfetto dalle ore infinite di prove fatte negli anni e le dita che tamburellavano sul volante. A casa non usava mai la macchina. I suoi incidenti da ferma – letteralmente, come il panettone centrato nel cercare di togliere il freno a mano – erano diventati un marchio di fabbrica, ma lì adorava guidare. E a sorpresa, tenere la sinistra non le aveva mai dato problemi. Si immise sull’autostrada come se la percorresse tutti i giorni, i Queen a tutto volume nelle casse e un traffico scorrevole che non le fece sentire lo stress mentre puntava verso Sevenoaks Weald, Kent. Visto che era rimasta sola, ne avrebbe approfittato per far visita ai suoi “genitori” inglesi. Alle superiori aveva passato un intero anno scolastico in Inghilterra, ospitata dai Clark. Ben e Hollie, e quel rompiscatole del figlio, Devon, erano diventati la sua seconda famiglia, un legame che negli anni non era mai venuto meno. Era stata quella pimpante signora a trasmetterle una passione smodata per le dimore storiche inglesi e la loro conservazione. Poi si era iscritta a uno dei suoi master al Birkbeck College ed era diventata anche la sua insegnante preferita. Era quasi un anno che non li andava a trovare. La mezzora di viaggio volò, immergendola in una campagna sempre più verde, finché non parcheggiò di fronte alla casa in Saint Julian Road. Percorse il piccolo vialetto di ghiaia, morendo dalla voglia di urlare “Sorpresa!” e finire a bere tè nello studio di Hollie, sovraccarico di libri e foto, in molte delle quali saltava fuori anche lei. Bussò un paio di volte, ma oltre la porta bianca non si mosse manco un grammo di polvere. Normale, se Hollie stava lavorando e Ben era nel giardino sul retro a occuparsi delle sue amate peonie. Pareva Gollum con l’anello a volte. Guai a toccarle, quelle benedette peonie. Le scappò da ridere, mentre frugava nella fessura all’angolo della facciata per recuperare la chiave di scorta. Un’estate, lei e Devon si erano dimenticati di innaffiarle per mezza giornata. Non ne avevano sofferto, ma Ben li aveva trattati come Bruto e Cassio, pugnalatori seriali di fiori indifesi. Il veto di avvicinarsi alla pianta ancora valeva. Entrò nel cottage quatta quatta, invisibile tipo Hermione durante la rapina alla Gringott. Sentì la porta sul retro aprirsi, un rumore di passi agitato che si dirigeva verso il salotto e decise che per primo avrebbe abbracciato Ben. «Sorpr…» Il balzo nel soggiorno le uscì male. Sembrò uno degli ippopotami di Fantasia, schiantato in mezzo a una casa inglese e davanti all’ultima persona al mondo che avrebbe mai immaginato trovare lì, nello sperduto Kent. Grattachecca dei Simpson non era nulla in confronto a lei, gli occhi letteralmente fuori dalle orbite. Si diede un pizzicotto. Bello forte. «Ahi!» Eh no, non era un sogno. Capelli castano-ramati umidi e lo stesso viso sottile e mascolino che l’aveva tenuta sveglia notti intere. Occhi di un blu oceano da toglierle il fiato. Lui. Davvero questa volta, non quella versione da incubo sognata un mesetto prima. Ed era nudo. Gloriosamente, magnificamente nudo! Solo quando lui si coprì con un cuscino, Clarissa ritrovò l’uso della parola. «Toby… Seddlithon?»


Toby. Cazzo, se gli dava sui nervi. Con tutti i posti in cui poteva sentire quel dannato tono, casa Clark era l’ultimo in cui se lo sarebbe aspettato. Come se tutti fossero abituati a trovarselo di fronte, pronto a sorridere e mettersi in posa per un selfie. La tizia lì davanti gli sembrava un’altra groupie esagitata, pronta a chiedergli la stessa cosa di chiunque altro. Se solo non fosse stato nudo come un verme. Quasi fu tentato di scoprirsi di nuovo, perché quegli occhi pallati non lo stavano guardando con l’intenzione di chiedergli una foto. La ragazza si stava tatuando il suo corpo sulle cornee, ne era certo. Avanti, guardava tutto fuorché il suo viso e quello un po’ sgonfiò la sua incazzatura. Era uscito per farsi una nuotata nel lago dietro casa, ma quel cretino del suo amico gli aveva fatto sparire i vestiti in un secondo di distrazione. Era tornato indietro di corsa, convinto di beccarlo sul fatto. Solo che nello spostarsi in salotto, quel folletto dagli occhi nocciola era sbucato dal nulla e lo aveva bloccato chiamandolo in quel modo. Raddrizzò le spalle e si schiarì la voce, apprezzando il leggero rossore le coprì le guance per l’imbarazzo. Era complice di un dannato scherzo, ma cavoli se era carina, con quella frangetta castana tutta spettinata e le labbra color ciliegia. «È stata un’idea di Devon?» non lo fece di proposito, ma la sua voce suonò più rauca del normale. E infastidita. Perché gli scherzi li tollerava fino a un certo punto. «Te l’ha detto lui, vero?» La testa della ragazza schizzò in alto, trovando il suo volto e diventando ancora più rossa. Inarcò un sopracciglio, spronandola a rispondere invece di pensare al fatto che fosse nudo. Avrebbe volentieri recuperato qualcosa da indossare, ma sospettava che l’amico l’avesse ingaggiata per tenerlo così il più a lungo possibile. «Devon… è in casa anche lui?» Oh, no. Quella luce di sospetto nei suoi occhi non gli piacque per niente. La sua mente stava andando a parare verso un’idea che lo spinse a fare un passo avanti, invadendo il suo spazio personale. Di solito se ne fregava di ciò che pensava di lui la gente, ma non voleva che quel folletto fraintendesse. «Tu saresti proprio il mio tipo, ma dimmi» abbassò lo sguardo finché non restò incatenato a quello della ragazza. «Quel cretino ti ha chiesto di farmi una piazzata? Sa quanto detesto questa cosa delle fan adoranti.» Lei scosse la testa, respirando a singhiozzo. «N-no. Nessuna piazzata. Io…» Un trambusto scosse le scale e il rombo della risata di Devon si propagò per la casa. Finché non trovò loro due. Rise vedendo il suo corpo pallido e bagnato gocciolare nel soggiorno. Poi però si accorse della figura minuta che gli stava di fronte e cambiò espressione. Devon Clark si fece tenero. Tenero? «Clari?!» La ragazza distolse lo sguardo e lo piazzò sul suo migliore amico. Le labbra si aprirono nel sorriso più luminoso e dolce che gli fosse capitato di vedere negli ultimi anni. Forse si era sbagliato su di lei e per un secondo, uno soltanto, sentì una fitta al centro del petto mentre si allontanava. Dio, quanto voleva che tornasse indietro e guardasse lui in quel modo. Avrebbe fatto di tutto per far sì che succedesse.

Clarissa gettò le braccia al collo di Devon e lui la fece roteare sul posto, tempestandola di domande su quando fosse arrivata e se i suoi la stessero aspettando. «Volevo far loro una sorpresa, in realtà» lanciò un’occhiata di sbieco a Toby, che ancora emanava vibrazioni negative. Però non si era ancora mosso e lei apprezzava lo spettacolo dei suoi muscoli longilinei. Moltissimo. «Sono in Scozia! Mamma ha in carico il restauro di Mount Stuart.» «Sei serio!?» era una delle ville storiche più famose e lei ancora non l’aveva visitata. Poi rivide Toby e arrossì. «Forse avrei dovuto avvisare.» «Vi siete conosciuti, vedo» Devon rise sotto i baffi e lei gli tirò un pugno sulla spalla, consapevole che quasi sicuramente doveva a lui la nudità di Toby. «Hey! Non iniziare. Sei appena arrivata.» «Immagino sia un tuo scherzo idiota» indicò quel bendidio e si sentì avvampare ancora. Stava facendo la figura della cretina e il suo idolo di certo la detestava. «Porti ancora via i vestiti a chi fa il bagno al lago!? Cresci un po’, Dev.» Toby borbottò qualcosa per assentire, ma non riuscì a capirlo perché lasciò la stanza in tutta fretta. E lei non poté trattenersi. Gli guardò il fondischiena. Una gran, bella e completa radiografia del suo didietro. Archiviata come materiale con cui risollevarsi il morale nella prossima vecchiaia. «Guardona!» tossicchiò Devon per prenderla in giro e lei gli rifilò un altro pugno. «Oh, avanti! Hai una faccia da affamata.» Fame! Non aveva più idea di cosa fosse, non dopo essersi trovata davanti al proprio sogno proibito, in prima fila davanti a tanta bellezza. Sentì le guance andarle in fiamme. Lo aveva visto nature! E chi se lo scordava più. «Scemo… Potevi dirmelo che lo conosci!» Devon parve scioccato. «Ma chi, quello!? Perché avrei dovuto?» Fu lei a essere del tutto sconvolta adesso. Lo guardò indignata e gli puntò l’indice tra le costole. «Non so, forse perché è Toby Seddlithon!?» «Lui… cosa?» Il suo amico d’infanzia restò di sasso, un’espressione stralunata sul viso cesellato. E poi, con sua sorpresa, si piegò in due dalle risate. Non solo. Devon stava piangendo dal ridere. Letteralmente. «Ti prego, Clari. No, ti supplico» tentò, ma non riuscì a trattenersi dal ridere ancora. «Dimmi che l’hai chiamato così.» «Scusa?» «Toby Seddlithon» imitò il suo tono estasiato, asciugandosi le lacrime. «Oh, Dio! Perché non ero qui quand’è successo!?» «Per fortuna! Già era convinto gli avessi fatto una piazzata. E che fosse una tua idea» si costrinse a ignorare le farfalle nello stomaco al pensiero che lei fosse “proprio il suo tipo”. Oh, ma quella sua voce roca. Aveva ancora i brividi. «Che vergogna! Adesso penserà che sono una pazza.» «No… Quando gli passerà l’incazzatura per come lo hai chiamato, gli starai simpatica. Vedrai.» «A dirla tutta, sono incazzato a morte con te, amico.» L’oggetto della loro conversazione tornò in salotto e Clari fissò basita la t-shirt con lo stemma di casa Targaryen che gli fasciava il busto alla perfezione. I jeans neri slavati cadevano da Dio sulle sue gambe. E i piedi… nudi! Sui social sembrava sempre così elegante. In quel momento, invece, si trovò a fare i conti con un uomo in carne e ossa e vero sex appeal a dismisura. E non perché fosse un attore ultra famoso. Ma perché vestiva come un nerd! Cavoli, se non ci aveva preso nel suo sogno! E anche il viso di Toby, adesso che se lo trovava di nuovo davanti con il corpo coperto, le sembrò diverso dalle centinai di volte in cui l’aveva visto nei film e in foto. Era più marcato, con le leggere rughe agli angoli degli occhi e una piccola cicatrice bianca a segnargli il mento. E quella quando se l’era fatta!? Non l’aveva mai vista! Forse la coprivano con il trucco. Però… accidenti! Adesso che l’aveva notata, non riusciva a non volerla sfiorare con le dita, avanti e indietro. Proprio nel punto in cui impediva alla barba leggera di crescere. Mmm… «Adesso che sei vestito posso fare le presentazioni. Esibizionista, lei è Clarissa, una vecchia amica di famiglia» al sentirlo chiamarla “vecchia”, l’interessata si riscosse dall’esame approfondito e gli mollò un ceffone sulla spalla. «Ahi! Manesca, lui è…» «Toby Seddlithon.»


Ecco fatto. Si era presentato e ora quella meraviglia tornava a concentrarsi su di lui. Se ne fregò altamente dell’occhiataccia di Devon. Gli interessava che lei tenesse quegli occhi luminosi sul suo viso ancora per un po’. Un secondo fa lo stava studiando, quasi avesse un piccolo Wally nascosto chissà dove sulla faccia e gli era piaciuto essere l’oggetto di tanta attenzione. Accidenti, voleva che scovasse tutti i dettagli che non avrebbe trovato nel viso sullo schermo! Scacciò l’idea del perché lo volesse e allungò una mano verso di lei. La vide trattenere il respiro, ma l’esitazione sfumò non appena la strinse. Un brivido gli fece accapponare la pelle per la sorpresa. Toccarla non avrebbe dovuto essere una cosa pericolosa, ma capì che con lei non sarebbe stato così. Gli piacque. Fin troppo. «Ti devo delle scuse» si tirò indietro, le dita cacciate nelle tasche dei pantaloni perché altrimenti l’avrebbe sfiorata di nuovo. «Ho pensato fossi complice di questo deficiente.» «Ma bene, Toby. Maltratta il tuo migliore amico per fare il figo, Toby.» Clarissa li guardava un po’ stranita e di certo non aveva idea del perché continuasse a ripetere il suo nome. Se Devon continuava a comportarsi in quel modo, lo avrebbe ucciso. «Dev posso portare dentro l’auto?» La domanda della sua amica gli fece distogliere lo sguardo truce, ma non prima di avergli lanciato un nuovo avvertimento. Basta stronzate. «Certo. Ti aiuto.» «No, faccio da sola. Non resto molto, ma è a noleggio e non voglio rischiare di ammaccarla.» Come!? Un momento. Non poteva già pensare di andare via. Era appena arrivata e Toby non aveva ancora avuto l’occasione di sembrare diverso da un musone irascibile. Ci teneva che quel bel visino non lo considerasse come chiunque altro. Era inspiegabile, eppure il sorriso che aveva rivolto a Devon aveva sconvolto il suo mondo. Ne avrebbe voluti a migliaia di sorrisi del genere. E li voleva tutti per sé. Quando Clarissa uscì per spostare l’auto nel vialetto, lui si ritrovò a respirare, ma gli mancava la sua presenza. Soprattutto perché si ritrovò addosso un Devon piuttosto seccato. Merda, avrebbe dovuto essere lui a pugnalarlo con lo sguardo. Non viceversa. «Non una parola.» «Ma davvero, Toby? “Non una parola”» borbottò, per fargli il verso. «Mi pare tardi.» «Sì, lo è» si mosse verso la cucina e nel passargli accanto, gli tirò una spallata. «Chi è?» «Un’amica di famiglia. Sai che i miei ospitavano gli studenti degli scambi culturali… Clari era una di loro. Solo che mia madre non l’ha più persa di vista dopo l’anno di studio.» «Sembrava di casa.» «Perché lo è» alzò le spalle con nonchalance, ma percepì lo stesso l’affetto profondo di Devon e gli diede fastidio. «È nove anni che gode del titolo di Clark onoraria. Credo che mia madre la ami.» Mise sul fornello la teiera. Era troppo presto per la birra, ma doveva mandar giù qualcosa. Tutto pur di placare l’acido che sentì in gola nel chiedere: «Solo Hollie?» Devon rise, quel sadico stronzo! «Oh, anche papà. C’è stata una mezza tragedia con le peonie, ma la adora lo stesso» gli si mise accanto, la bocca stretta in un ghigno perché non riusciva a smettere di ridere. «È come una sorella per me. Una di quelle per cui minacci i tuoi amici di tenere le mani a posto.» «Quindi siamo ancora amici?» «Ci sentiamo di tanto in tanto, Toby, lo sai. Ma sì, sei ancora un amico.» «E ai tuoi cosiddetti amici non parli di tua sorella?» era irritato ma scrollò le spalle davanti al ghigno interrogativo di Devon. Lui stesso non aveva idea del perché lo fosse, quindi era inutile perdere tempo a cercare una spiegazione per l’amico. «Onoraria o no, è la prima volta che ne sento parlare.» «Perché non ne ho mai avuto l’occasione. E non te l’avrei presentata se avessi saputo della sua ossessione per “Toby Seddlithon”» alzò gli occhi al soffitto, mimando le virgolette con le dita e Toby rise della canzonatura, come se quel nome lo rendesse un trofeo o che altro. «Avrei voluto assistere alla tua faccia, ovvio, ma non ti avrei fatto uno scherzo del genere. È da stronzi.»

L’acqua fischiò e Toby allungò il braccio dietro di sé, senza nemmeno guardare. Era abituato a compiere quel gesto e Clarissa trovò strano che, in realtà, lui e Devon si sentissero solo poche volte. Non avrebbe dovuto origliare da dietro la porta. Ma come avrebbe potuto evitarlo? Stava rientrando quando li aveva sentiti parlare di lei e… E la particolare prospettiva che godeva sul corpo di Toby da quel punto aveva preso la decisione al posto suo. Si beò della vista ancora un po’, marchiando a fuoco nella memoria il profilo della sua splendida bocca mentre si apriva in un sorriso complice per quello che Devon gli aveva appena detto. Oh, grande Giove! Quel gesto la uccise. Nessun sorriso visto attraverso le telecamere e uno schermo sarebbe mai più stato abbastanza da farle battere il cuore. Ma non poteva restare lì ferma. Sarebbe sembrata un’impedita nei parcheggi e non voleva certo dare quell’impressione. Già aveva sfiorato una moto nel portare dentro l’auto, rischiando un danno mai visto. E se fosse stata la moto di Toby?! Che figura avrebbe fatto. Perciò raccolse il coraggio di entrare in cucina. Per restare ferma esattamente dove si trovava nel sentire la domanda di Devon. «Ti interessa? Perché Clari è davvero una di famiglia e non mi va di vederla soffrire.» Addirittura!? Cioè, sì, lei avrebbe volentieri approfittato di Toby in ogni buona occasione, specie dopo aver avuto conferma di quale fosse il suo genere di ragazza, ma da lì alla sofferenza ne passavano di ere geologiche. Eppure il suo cuore perse il ritmo nell’attesa di una sua risposta. Perché la vacanza era iniziata male, ma quello avrebbe potuto darle una svolta da capogiro. «È solo un’altra fan senza speranza» Toby scrollò le spalle, gli occhi tempestosi fissi sulla tazza di tè nella sua mano. «Non ne vale la pena.» “No, Maria. Io esco.” Una piccola Tina campeggiò nel suo cervello. Ci era rimasta male, malissimo, ma non per questo avrebbe permesso a cotanto tripudio di figaggine di passarle sopra come un bulldozer. Avrebbe conservato il suo onore. In fondo, lei aveva già dei programmi per la sua vacanza. La sosta dai Clark era stata solo un’improvvisata e aveva da fare anche a Londra. Fece capolino nella cucina e sorrise a entrambi, specie al belloccio che l’aveva appena rimbalzata. «Cambio di programma. Parto adesso» fece l’occhiolino a Devon e un rapido cenno a Toby. «Piacere di averti conosciuto.» Li lasciò tutti e due di stucco. Non ci fu modo di farle cambiare idea e quando si rimise alla guida della Vauxhall, Mika riempì la campagna con la sua Oh Girl You’re The Devil. Clari sogghignò mentre si allontanava, gli occhi inchiodati sullo specchietto retrovisore e all’espressione basita di Toby Seddlithon. Sì, era una fan senza speranza e avrebbe sospirato lo stesso al ricordo di quella mattina, ma Clari era una per cui ne valeva la pena! E Toby non aveva idea di cosa si sarebbe perso. Tanto peggio per lui!

Perdonatemi! Non avendo un tema da seguire è diventato un racconto lunghissimo 😅 spero siate tutti sopravvissuti fino alla fine! Se vi va, mi farebbe piacere sapere come vi è sembrato!

Federica 💋

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Federica
Caglioni

Laureata in Lettere e in Lingue.
Mi barcameno tra il mio blog letterario, le traduzioni editoriali e la scrittura.

La mia vera passione: i libri.
 

Ciò che leggo mi definisce. E ciò che scrivo mi completa.

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